Spagna: il re firma, al voto il 26 giugno
La firma che Filippo di Borbone ha apposto al decreto che convoca le elezioni per il 26 giugno è storica come quasi ogni cosa che è successa dalle elezioni del 20 dicembre a oggi. Non era infatti mai successo che fosse il re, con l’avallo del presidente del Congresso dei Deputati, a sciogliere le camere. Normalmente in Spagna questa è una funzione del capo dell’esecutivo. Tranne il caso, mai accaduto finora, in cui scadano i due mesi dalla prima sessione di investitura senza elezione di nessun presidente del governo. Nessuna legislatura era durata tanto poco. Non si era mai dato il caso di un Congresso che si riunisce, vota provvedimenti (più per fissare posizioni politiche che per effetti pratici) in assenza di un governo.
Forse mai come in questa circostanza i tempi lunghissimi dei meccanismi parlamentari spagnoli stanno iniziando a stare stretti anche ai protagonisti. Che non ci sarebbe stato accordo era chiaro da almeno un mese, ma senza la scadenza dei 60 giorni non si poteva fare nulla. La prima riunione del Congresso della prossima legislatura sarà il 19 luglio. E anche nel caso in cui un governo si riesca a formare entro la fine dell’estate, Mariano Rajoy sarà stato presidente ad interim senza appoggio parlamentare per quasi un anno. Per ora, intanto, si frega le mani. Tutti i sondaggi – poco precisi nel prevedere gli effetti di una probabile astensione massiccia – danno il Pp ancora come primo partito. E lui spera anche con qualche seggio in più, che aggiunti a quelli di Ciudadanos lo possano mantenere in sella.
I popolari sono bravissimi a trattenere il respiro in questi casi. Il partito è in fortissima crisi e molti, sottovoce, mettono in discussione la strategia attendista e passiva del loro presidente. Ultima, la sempre verde Esperanza Aguirre, che chiede, sapendo che non saranno possibili, primarie prima delle elezioni. Ma se il gioco non dovesse riuscirgli, dopo le elezioni, il partito esploderà.
D’altra parte Ciudadanos, che ha giocato il ruolo del partito tranquillizzante e istituzionale, certamente si gioca una parte del suo elettorato per il patto firmato con grandi fanfare con il Psoe. La loro giustificazione è quella che volevano favorire la grande coalizione desiderata, sembra, dalle grandi imprese e dalle alte sfere di Bruxelles. Ma Albert Rivera non contava di dover tornare davanti agli elettori così presto a difendere la sua ormai poco credibile alterità al sistema.
Anche il Partito socialista è in fibrillazione. Sánchez ha chiaramente perso la scommessa di riuscire a formare il governo: ma era una scommessa difficilissima da vincere, dato che il suo stesso comitato federale gli aveva messo così tanti paletti – no con Podemos, no con il Pp, no a un’astensione tecnica dei nazionalisti catalani e baschi – che sarebbe stato sorprendente se fosse riuscito a quadrare il cerchio. Della probabile batosta dei socialisti verrà incolpato il giovane leader, la cui testa ormai sembrano volere tutti, vecchi e giovani del partito, subito dopo le elezioni.
Podemos arriva alle elezioni provato da questi mesi di negoziati in cui, certo, sono stati vittime dell’ostracismo di tutti gli altri partiti, ma che non hanno gestito con saggezza. E in cui il carattere poco umile di Iglesias non ha semplificato i rapporti con gli altri partiti. In più, il partito è passato in pochi mesi a essere poco più di una riunione di amici professori a un partito da 5 milioni di voti.
E questo ha creato dinamiche e tensioni che i viola ancora non sono sufficientemente consolidati da saper gestire. L’unico partito che potrebbe ostentare ottimismo sulla prossima tornata elettorale è Izquierda Unida, molto penalizzato dalle ultime elezioni. Alberto Garzón in questi mesi ha mostrato uno stile e una forma radicale ma gentile e potrebbe essere vicino a vincere una scommessa: quella di convergere con Podemos. Il che, grazie a una legge elettorale iniqua, moltiplicherebbe sia i seggi di Podemos che quelli di Iu. I tempi stringono. Il 13 maggio si devono comunicare le alleanze, il 23 le liste. Da lunedì fino a oggi i militanti e i simpatizzanti votano la carta bianca a Garzón per portare avanti i negoziati.
Da Iu la voce più critica è quella dell’ex portavoce Gaspar Llamazares che dà voce al timore di essere fagocitatati da Podemos. Garzón conta di avere l’appoggio dei militanti e che i risultati del 26 giugno zittiscano le critiche – e facciano respirare i conti in rosso del partito, restituendo al partito una rappresentanza parlamentare significativa. Stando ai sondaggi, non solo il sorpasso con il Psoe sarebbe a portata di mano, ma i due, insieme agli altri partiti che entrerebbero nelle alleanze elettorali, potrebbero sfiorare la maggioranza assoluta dei seggi.
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