121 morti che lasciano indifferente l’Occidente

by Michele Giorgio, il manifesto | 24 Maggio 2016 11:08

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Per loro non esprimerà sdegno la Francia di Hollande. Per loro l’Amministrazione Obama non invocherà indagini internazionali. Per loro non scenderà in campo a protestare con forza una nota Ong che si occupa di garantire assistenza medica in giro per il mondo. Per loro gli occidentali non si affanneranno a denunciare il terrorismo jihadista come hanno fatto dopo gli attentati a Parigi e Bruxelles. Le vite umane continuano ad avere pesi diversi, dipende da dove si nasce. Sono i 121 morti dell’ondata di attentati compiuti ieri in Siria dallo Stato Islamico. Sono le vittime di sette violente esplosioni, quasi simultanee, che hanno preso di mira stazioni di autobus, ospedali e altri siti civili nelle città costiere di Jableh e Tartus. È stato un massacro, compiuto da kamikaze, forse il più sanguinoso dei tanti attentati rivendicati dallo Stato Islamico e da altre organizzazioni jihadiste dal 2011 a oggi nelle aree controllate dal governo di Damasco. E potrebbero essere i primi di una lunga serie di attacchi suicidi nel cuore di città che i media internazionali si sono affrettati a descrivere come «roccaforti di Bashar Assad», quasi a voler ridimensionare, con l’aggiunta di questo dato politico, la strage di tanti innocenti. 73 persone sono morte nei quattro attacchi a Jableh e 48 nei tre attentati a Tartus. Tanti i feriti, molti dei quali ieri sera lottavano tra la vita e la morte. Ieri si è saputo che sabato scorso c’è stato un attentato a Qamishli, la seconda città della provincia nord-orientale di Hassakè. Almeno i tre morti nel quartiere di Wusta, abitato in maggioranza da cristiani.

Jableh si trova nella provincia di Latakia, Tartus è la capitale regionale del governatorato adiacente che porta lo stesso nome. Fino a ieri le due città avevano vissuto solo in minima parte gli orrori della guerra che da cinque anni devasta la Siria. «Sono scioccato, questa è la prima volta che sento boati spaventosi come questi», ha detto alle agenzie di stampa Mohsen Zayyoud, uno studente universitario. «Credevo che la guerra fosse giunta alla fine e invece siamo ancora nel cuore della battaglia», ha aggiunto. Gli attacchi sono iniziati alle ore 9.00 con tre esplosioni in una stazione di autobus di Tartus. Prima è esplosa un’autobomba all’ingresso della stazione. Quando la gente è accorsa per aiutare i feriti, due kamikaze ha azionato le loro cinture esplosive facendo un massacro. La televisione pubblica siriana ha mostrato la stazione danneggiata, mini-bus carbonizzati e altri in fiamme. Circa quindici minuti dopo altre quattro esplosioni sono avvenute a Jableh a una fermata di autobus, in un ospedale e in una stazione di benzina. Un portavoce della polizia ha detto che un kamikaze si è fatto esplodere all’interno dei locali del pronto soccorso dell’ospedale. Poco dopo lo Stato Islamico, attraverso la sua agenzia di stampa Amaq, ha rivendicato la strage affermando che i suoi “combattenti” avevano attaccato «raduni di alawiti» a Tartus e Jableh, riferendosi alla minoranza di origine sciita alla quale appartiene la famiglia del presidente Assad. Lo Stato Islamico non era noto per avere una presenza massiccia nelle province costiere della Siria, dove invece al Nusra (al Qaeda) hanno molti uomini. Il fatto che sia riuscito a compiere un attentato tanto ampio indica che ha avuto la capacità di creare basi in una regione da sempre sotto il controllo rigido delle forze governative.

Gli attentati terroristici in Siria hanno «lo scopo evidente di minare il regime di cessate il fuoco in vigore dal 27 febbraio» e «in generale di minare gli sforzi per raggiungere una soluzione politica…È una sfida aperta non solo al governo e ai cittadini della repubblica araba siriana ma anche alle autorità della comunità internazionale» ha commentato la Russia in una nota del suo ministero degli esteri. Mosca ha anche riferito che il suo capo della diplomazia Serghiei Lavrov e il Segretario di stato Usa John Kerry hanno discusso della situazione e «in particolare delle proposte della Russia di condurre operazioni congiunte contro i gruppi terroristici e contro altre formazioni armate che non aderiscono al cessate il fuoco». L’Unione europea invece pensa alla «transizione politica», ossia a come costringere Bashar Assad a farsi da parte subito, come chiede l’opposizione siriana che vive negli alberghi di Istanbul e Parigi e non ha alcun peso sul terreno. La Ue ieri ha detto di puntare a un accordo entro il primo agosto che includa un organo di governo transitorio «ampio, inclusivo e non settario».

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