Un “Nobel” al Masai che salvò le terre tribali
È UN CAPO tribù masai della Tanzania e grande difensore delle terre del suo popolo, il vincitore dell’ultima edizione del Premio Goldman, sorta di Nobel americano dell’ambientalismo. Si chiama Edward Loure, ha una quarantina d’anni circa ed è un pastore prestato alla giurisprudenza, perché dopo aver conseguito una laurea in management ha trovato il modo di salvare i pascoli della sua gente operando una piccola modifica a una legge già esistente ma inefficace. Grazie all’introduzione di questo cavillo giuridico, che assieme alla ricca fauna che vive nelle praterie della Valle del Rift salvaguarda anche la più ancestrale cultura masai, Loure è stato premiato il 18 aprile scorso a San Francisco. Non solo: il suo lavoro di attivista è anche servito a far riconoscere per la prima volta l’importanza della pastorizia nella conservazione della natura in Tanzania.
Loure è nato nelle vaste pianure di Simanjiro, che spaziano su 3 milioni di ettari nel nord del Paese, dove da millenni vivono sia pastori sia cacciatori-raccoglitori in armonia con numerose specie di ungulati, dagli impala agli gnù e a ogni tipo di gazzelle. Da tempo, però, buona parte di quelle regioni sono state trasformate in parchi nazionali, e le popolazioni semi-nomadi che da generazioni vi allevavano bestiame sono state deportate altrove dal governo tanzaniano dopo espropri abusivi. «Noi dipendiamo dalle nostre terre, che hanno modellato la nostra cultura e il nostro modo di vita. Per noi rappresentano tutto. Se ci tolgono i nostri pascoli non avremo più vacche, e senza vacche moriremo tutti», spiega Loure.
È dal 1950 che si è cominciato a compromettere questo fragile equilibrio, sbocconcellando progressivamente le terre masai per farvi parchi per i turisti. Recentemente, la situazione s’è di molto aggravata, perché lo Stato ha iniziato a vendere quelle aree sia agli organizzatori di caccia grossa e altri safari, sia ai cosiddetti “ladri di terre”, e cioè a quegli speculatori che usano gli antichi pascoli tribali per crearvi allevamenti intensivi illegali. Tutto ciò ovviamente a scapito dei popoli autoctoni.
La stessa tribù del vincitore del premio Goldman fu deportata nel 1970, quando il governo creò il parco naturalistico del Tarangire. Per riparare quel torto, da una ventina d’anni Loure s’è dato il compito di difendere i diritti fondiari di tutti i popoli “primitivi” della Tanzania, diventando il direttore dell’Ujamaa Community Resource Team (Ucrt), una delle prime ong locali tanzaniane in lotta per lo sviluppo sostenibile e per i diritti della terra. Lo strumento che per anni ha adoperato l’Ucrt è il Village Land Act, una legge fondiaria destinata a garantire ai villaggi locali la proprietà delle loro terre. Questo strumento giuridico ha tuttavia l’inconveniente di essere lento e costoso, e di facilitare se non di promuovere la corruzione e gli abusi politici. Col risultato che numerose zone protette dalla legge sono state vendute a grossi imprenditori agricoli, e che perciò sia i pascoli masai sia le zone di natura selvaggia si sono ridotte in maniera considerevole. Fino al giorno in cui Loure ha finalmente identificato un meccanismo giuridico chiamato il Certificates of Customary Rights Occupancy, che conferisce inalienabili diritti fondiari a un’intera comunità. Questi “certificati” differiscono dalla legge precedente in quanto riconoscono il possesso non più a singoli individui, bensì a tutto un popolo. E grazie a questo sistema, il Village Land Act può finalmente proteggere i pascoli masai dalle interessatissime mire degli tour-operator e degli speculatori agricoli.
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