I No Triv non si arrendono: “Ricorso in Europa”

I No Triv non si arrendono: “Ricorso in Europa”

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Il quorum non c’è, le trivelle resteranno al loro posto. Non essendo andata alle urne la metà più uno degli aventi diritto al voto, la consultazione non è valida e quindi la situazione resta immutata. Non si concederanno altri permessi di estrazione degli idrocarburi all’interno delle 12 miglia dalla costa, ma le concessioni già attive non avranno scadenza: saranno i gestori a decidere fino a quando utilizzare gli impianti. E potranno fare nuove trivellazioni all’interno dei giacimenti: è il caso di Vega B, la piattaforma della Edison a Ragusa, e di Rospo Mare, di fronte a Ortona.

La partita però non è chiusa. Il Comitato per il Sì ha già pronta la mossa successiva: un ricorso in sede europea per la violazione, da parte dell’Italia, delle norme che disciplinano l’estrazione degli idrocarburi. Secondo Enzo Di Salvatore, costituzionalista e docente all’università di Teramo, le misure contenute nella Legge di stabilità 2016 (quelle che hanno abolito la scadenza per le concessioni petrolifere) sono in contrasto con la direttiva 94/22/CE che assicura «l’accesso non discriminatorio alle attività di prospezione, di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi e al loro esercizio, secondo modalità che favoriscono una maggiore concorrenza nel settore ». La norma prevede che solo in via eccezionale ci possano essere proroghe della concessione e, in ogni caso, non a tempo illimitato.

Sulla questione pochi giorni fa è stata inviata alla Commissione europea un’interrogazione di Barbara Spinelli. Nel testo si chiede di valutare l’apertura di una procedura d’infrazione a carico dell’Italia per violazione delle regole sulla libera concorrenza. «Abolire la scadenza delle concessioni crea una situazione di oligopolio che penalizza gli esclusi», spiega Di Salvatore.

Un problema analogo si delinea proprio in questi giorni. L’Italia è stata già condannata dalla Commissione europea per la violazione della direttiva Bolkestein su un altro bene comune, le spiagge, e si sta per pronunciare la Corte di giustizia. Anche in questo caso l’Europa chiede libertà di mercato, mentre alcune concessioni sugli stabilimenti balneari passano di padre in figlio saltando le gare: per questo il nostro Paese deve pagare una sanzione da 900 mila euro al giorno. In entrambi i casi il problema è la cessione a un privato – senza scadenze o con scadenze troppo lunghe – dell’uso di beni collettivi.

Il secondo nodo del contendere è il destino delle piattaforme petrolifere non più attive. Il contratto prevede che lo stato originale dei luoghi sia ripristinato al cessare delle attività. Dunque gli impianti andrebbero smantellati, ma questa voce rappresenta un costo significativo e qualche compagnia potrebbe essere tentata, ora che non c’è più una scadenza per lo sfruttamento, di rallentare l’estrazione in modo da rinviare lo smantellamento. Al di sotto di un certo volume di prelievo, oltretutto, non si pagano royalties: nel 2015 le ha versate solo una concessione su cinque. Di trivelle si parlerà ancora.



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