by Luca Fazio, il manifesto | 26 Aprile 2016 9:01
Milano. La presenza sul palco di piazza Duomo del sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha dato senso a una tensione che era presente lungo lo straordinario corteo del 25 aprile che si è riversato in piazza Duomo: “Il problema non sono i profughi, il problema è questa Europa”. Anche il sindaco Giuliano Pisapia, alla sua ultima uscita per la festa della Liberazione, ha messo l’accento sulla necessità di accogliere chi fugge dalla guerra e dalla miseria. I candidati alla poltrona di Palazzo Marino, Stefano Parisi e Beppe Sala, sono passati quasi inosservati. Le elezioni di giugno non sono ancora in cima ai pensieri dei milanesi che come sempre non hanno perso l’occasione di ritrovarsi nella piazza più felice ed accogliente
MILANO Liberaci dal male, senza amen. Il 25 aprile Milano si fa perdonare ogni cosa. Un sentimento che somiglia alla felicità ogni volta accompagna il percorso di decine di migliaia di persone, è come se almeno un giorno all’anno si ritrovasse il senso di restare uniti per cercare una direzione comune. E’ qualcosa di più dell’unità delle sinistre, è l’euforia per qualcosa di non meglio definito, voglia di ricominciare in attesa di tempi migliori. Quando poi il sole spacca l’illusione acceca, è sempre andata bene, anzi benissimo. La magia del 25 aprile a Milano è così, chi non prova l’ebbrezza di una liberazione tra simili, gli stessi che durante l’anno non si incontrano quasi mai, non può cogliere l’essenza di un rito sempre uguale eppure sempre speciale. Per questo motivo le persone normali, quelle che non cercano di capire leggendo i resoconti prestampati dei giornali – altrimenti sarebbe sempre e solo “contestazione alla brigata ebraica” – vivono come semplici incidenti di percorso alcuni “fatti” che inevitabilmente vengono esagerati per dare la cifra all’unica giornata sacra del calendario politico ed emotivo milanese
Vediamoli. Potremo mai fare a meno di commentare la solita, rituale, evocata contestazione alla brigata ebraica? Eccola: fischi e contro fischi in piazza San Babila, parapiglia mimato, poliziotti annoiati, fine dei “momenti di tensione”. Contestare è lecito, risentirsi pure. Imperdonabile invece – ma non abbastanza per rovinare la festa – l’unica triste pagliacciata nazifascista ad uso e consumo delle telecamere. Personaggi inguardabili che al mattino omaggiano i caduti della Rsi al Cimitero Maggiore. Saluti romani, trafiletto di disgusto.
Ma la cifra della manifestazione è un’altra. E certo non è la cordiale stretta di mano tra i due candidati sindaco Stefano Parisi e Beppe Sala. Non se n’è accorto nessuno: ignorati. Non perché i due siano simili, ma sono ancora presenze piuttosto incolori. Deve essere per questo che la campagna elettorale stenta a decollare – tutte le cartucce sono state sparate durante e dopo le primarie e per le sinistre è stato più o meno un suicidio. I partiti ci sono tutti (Prc con Basilio Rizzo, Sel camuffata di arancione per Sala, Verdi, Pd e Cinque Stelle) ma le elezioni di giugno non sono in cima ai pensieri dei manifestanti. E nemmeno vale la pena esagerare la contestazione di un centro sociale verso un gruppo di bandiere del Pd, lo spezzone sempre più ingessato e a disagio del corteo. Ma è il 25 aprile, ognuno lo attraversa come vuole, anche facendo finta di non vedere decine di mani che vendono a un euro il libretto rosso della Costituzione calpestata dal Pd di Matteo Renzi.
La piazza di quest’anno, invece, dovrebbe restare nella memoria solo per presenza del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini sul palco di piazza Duomo. Sono le sue parole a dare il senso di una tensione che è presente lungo tutto il corteo, la sensazione che oggi non sia più possibile auto assolversi con la retorica della memoria e della democrazia conquistata senza battersi qui e ora contro “l’olocausto del Mediterraneo” – dice proprio così Nicolini. Peccato che l’organizzazione le abbia concesso di parlare in una piazza ancora semi vuota, perché le sue parole avrebbero scaldato i cuori della parte più coinvolta del corteo, quella meno istituzionale che mai riesce ad entrare in piazza durante i comizi (è il motivo per cui la massa critica non riesce a concentrarsi dando la giusta dimensione dei partecipanti). Centri sociali – molti giovani dietro e attorno al Cantiere e al Leoncavallo – associazioni, comunità straniere, collettivi delle scuole, comitati di quartiere, moltissimi ragazzi e ragazze, tanti stranieri, quello spaccato di sinistra diffusa senza rappresentanza che ha sfilato per dire “basta muri in Europa” mettendo in connessione le guerre, il dramma dei rifugiati e il rifiuto di questa Europa e dei governi che la sostengono. Con cartelli, canzoni, slogan e inviti alla rivolta anche in francese (la nuit debout).
“L’isola di Lampedusa in vent’anni – ha detto Nicolini – ha salvato la vita di 300 mila persone, ma è poco per un’Europa che da anni grida all’invasione. Il problema non sono loro, è questa Europa. Adesso il rischio è che a un naufragio ne segua un altro e che ci si abitui, che l’indignazione ceda alla rassegnazione. Tutto possiamo permetterci oggi tranne il silenzio”. Concetto ribadito anche da Giuliano Pisapia, alla sua ultimissima uscita da sindaco nella piazza più accogliente. “Di resistenza c’è bisogno anche oggi, per combattere contro chi pensa che l’unica strada per superare le sofferenze che vediamo quotidianamente sia costruire muri, di filo spinato o mattoni. C’è bisogno di resistenza per sconfiggere il no al diverso, allo straniero, a chi fugge dalla guerra, dalla dittatura, dalla tortura, dalla miseria, dalla disperazione”. Anche le parole del presidente dell’Anpi, Carlo Smuraglia, sarebbero state apprezzate da chi stava marciando nelle retrovie. Ha chiesto “verità e giustizia” per Giulio Regeni, rivolgendosi all’Egitto e al governo italiano, perché “non c’è abbastanza insistenze per averle, e non bisognerebbe guardare alle convenienze”. Fine
Poi è stata festa a oltranza al parco di Trenno con il festival delle culture antirazziste e antifasciste. Non sarà stata una notte in piedi, ma avercene…
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