La modifica contestata nella manovra sbloccò i progetti legati a Tempa Rossa
ROMA Quando, il 12 settembre 2014, Matteo Renzi andò a Taranto, fu accolto dalle proteste del movimento «Stop Tempa Rossa». Alle quali rispose promettendo un approfondimento ma sottolineando anche che si trattava di un progetto strategico e che c’era «un elemento di tensione slegato dai problemi». La posizione favorevole del governo sullo sblocco del progetto, che prevede lo smistamento a Taranto del petrolio proveniente dalla Basilicata, era dunque già sostanzialmente presa. Ma l’iter che ha portato al via libera dell’emendamento nella legge di Stabilità, quello incriminato nelle intercettazioni con il ministro Federica Guidi, è stato travagliato, tra ricorsi al Tar, opposizioni del Comune di Taranto, improvvise fuoriuscite da una legge (lo Sblocca Italia) e approdo definitivo in un’altra, la Stabilità.
Nel settembre 2014, il progetto viene considerato dal ministero dello Sviluppo economico come «il principale programma privato di sviluppo industriale in corso in Italia»: vale 300 milioni, due anni di lavoro e 300 assunzioni. Ma il progetto è anche molto contestato. Ci sono gli ambientalisti, che temono un aumento dell’inquinamento (nonostante le assicurazioni delle compagnie di una riduzione delle emissioni). Ci sono gli esponenti di Sel locali che premono sul governatore Nichi Vendola per rivedere la posizione della Regione Puglia favorevole al progetto. E c’è il Comune di Taranto. Che, dopo un primo parere positivo, cambia idea e vieta nel piano regolatore portuale le opere nella raffineria Eni. Un articolo su Formiche firmato da Federico Pirro, del Centro studi di Confindustria Puglia, spiega: «Tempa Rossa: così Renzi vuole sconfiggere l’estremismo ambientalista in Puglia».
A ottobre in commissione Ambiente viene presentato da Simona Vicari un emendamento nello Sblocca Italia che rende strategico il progetto Tempa Rossa. Racconta Mirella Liuzzi, dei 5 Stelle: «Il folle emendamento fu ritirato e dichiarato inammissibile il 17 ottobre, dopo le nostre proteste, durate tutta la notte».
Ma il 14 dicembre del 2014, tra gli emendamenti presentati dal governo alla legge di Stabilità, rispunta una norma per sbloccare il progetto. Protestano ancora i 5 Stelle, con una serie di subemendamenti e con interventi di Gianni Girotto, capogruppo M5S della Commissione Industria del Senato: «Questo è un emendamento marchetta, che chiude il cerchio dei favori alla lobby del fossile».
La norma viene approvata dal Senato con la fiducia in un maxiemendamento: si estende, con il comma 552, l’autorizzazione unica anche per le infrastrutture a valle del progetto, comprese quelle «al di fuori» del perimetro delle concessioni. Ovvero a Taranto. Norma che potrebbe generare, si dice, «rilevanti entrate fiscali aggiuntive», con «importanti ricadute occupazionali».
Nonostante l’emendamento, il progetto resta fermo. Le compagnie decidono allora di fare ricorso contro la delibera del Comune di Taranto. Nel giugno del 2015 arriva la decisione del Tar, che annulla la delibera del Comune di Taranto che blocca le opere. Nella motivazione, la mancanza di confronto con le parti e il fatto che i due serbatoi di stoccaggio sono in aree private dell’Eni e quindi non rientrano nel piano regolatore del porto.
Dopo il verdetto del Tar, il 19 dicembre 2015 arriva un via libera dal Ministero degli Affari Economici, dopo una Conferenza di Servizi: «Sussistono i presupposti per l’emanazione del provvedimento di autorizzazione, previa intesa con la Regione Puglia». Il resto è storia e cronaca giudiziaria .
Alessandro Trocino
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