by FERDINANDO GIUGLIANO, la Repubblica | 20 Aprile 2016 14:00
Inizio d’anno a rilento e tensioni geopolitiche possono pesare sul Pil 2016, atteso in salita dell’1,2%. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio nelle stime dell’esecutivo ci volevano più rigore e cautela Il governo italiano considera il 2016 un anno in cui la ripresa economica si rafforzerà, permettendo così di continuare sul percorso di risanamento dei conti pubblici. Questa visione, che permea il Documento di economia e finanza presentato dieci giorni fa, è stata sottoposta a un vero e proprio stress test da parte degli organismi indipendenti che in questi giorni si sono alternati nelle audizioni parlamentari. L’immagine che ne viene fuori è quella di un quadro economico di grande incertezza, in virtù soprattutto della debolezza della ripresa globale. Anche se nessun osservatore ha giudicato le stime del ministero dell’Economia implausibili, sembra evidente come l’ottimismo di queste previsioni vada a cozzare con una prevalenza di rischi al ribasso.
Il Mef ritiene che il prodotto interno lordo italiano possa accelerare quest’anno dallo 0,8% del 2015 all’1,2%. La stima, leggermente superiore a quella prevalente fra le società di previsione, deve fare i conti con un avvio d’anno positivo ma non eccellente, che rende il raggiungimento dell’obbiettivo tutt’altro che scontato. Il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha fatto notare come l’istituto preveda una crescita del Pil per il primo e il secondo trimestre di quest’anno intorno allo 0,3%. Per raggiungere il tasso ipotizzato dal governo «sarebbe necessaria un’ulteriore accelerazione dell’attività economica nella seconda parte dell’anno», ha detto Alleva.
La Banca d’Italia, per bocca del vice direttore generale Luigi Signorini, ha notato come la domanda interna italiana continui a beneficiare di condizioni favorevoli, quali la ripresa dell’occupazione e il miglioramento del potere d’acquisto delle famiglie, grazie alla bassa inflazione. Il problema principale è il rallentamento del commercio globale, che continua a pesare sull’export. Via Nazionale giudica lo scenario di crescita delineato dal governo non implausibile, ma sottolinea i pericoli nascosti nell’economia internazionale. «Le tensioni geopolitiche potrebbero ripercuotersi sulla fiducia di famiglie e imprese. I mercati finanziari restano soggetti a una forte volatilità », ha detto Signorini.
L’analisi più completa e, allo stesso tempo, più caustica proviene dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che da qualche anno è preposto a validare le stime macroeconomiche elaborate dal governo, confrontandole con quelle prodotte da un panel di quattro istituti. L’Upb ha preferito evitare di contestare ufficialmente le stime del Mef. Tuttavia, nel documento prodotto per l’audizione parlamentare si sottolinea come le previsioni di crescita del Pil reale e nominale prodotte dal governo siano sempre al limite e in qualche caso addirittura oltre le previsioni prodotte dai modelli indipendenti. «L’elevata dose di incertezza che contraddistingue l’attuale fase economica dovrebbe comunque spingere a un approccio di cautela», scrive l’Upb, aggiungendo che «sorprese negative sul fronte della crescita e dell’inflazione metterebbero a rischio la dinamica del Pil nominale e con essa il percorso di riduzione del debito». La strigliata degli economisti guidati dal presidente Giuseppe Pisauro, riguarda anche il modo in cui il Mef ha prodotto le sue stime, fornendo pochissime indicazioni su come intenda raggiungere i suoi obbiettivi di bilancio dal 2017 in poi, nonché sulle privatizzazioni che dovrebbero contribuire a fare scendere il debito pubblico.
Dal canto suo, il Mef fa notare come nel 2015 la crescita registrata dall’Italia sia stata più vicina a quanto previsto dal governo in aprile rispetto, per esempio, alle previsioni del Fondo monetario internazionale. Lo scenario globale, aggiungono al Mef, non è poi necessariamente così negativo, pur in presenza di rischi come quello che l’eurozona entri in una fase di stagnazione e deflazione. Il ministro Padoan ha più volte sottolineato come la scelta di adottare una politica fiscale maggiormente espansiva rispetto a quanto previsto inizialmente sia stato anche un modo per prevenire il rischio di una spirale recessiva. L’altro pericolo, quello di aumentare il debito senza grandi effetti sulla crescita, resta però sempre dietro l’angolo.
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