Andare prima in pensione costa 7 miliardi l’anno ipotesi ricorso alle banche

by ROBERTO MANIA, la Repubblica | 20 Aprile 2016 13:50

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Rebus flessibilità in uscita. Per il governo non sarà affatto semplice individuare la strada per rendere possibile il pensionamento prima degli attuali 66 anni e sette mesi. Stretto com’è tra le regole della contabilità nazionale e i vincoli dei patti europei sul deficit. Tant’è che ieri nell’apertura del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, confermata dal sottosegretario Tommaso Nannicini, capo della struttura economica di Palazzo Chigi, a rivedere alcuni criteri della legge Fornero non c’era traccia dell’eventuale soluzioni tecnica. Perché le opzioni “lineari” (si va in pensione prima ma con una penalizzazione sull’assegno proporzionale agli anni di anticipo della quiescenza) sono indubbiamente più comprensibili ma hanno un impatto finanziario non indifferente. Lo ha detto chiaramente Nannicini: «Se il costo è interamente a carico della finanza pubblica, al di là delle diverse proposte, siamo intorno ai 5 o 7 miliardi, a seconda dello sforzo, in termini di penalizzazioni, sul pensionato». Sembra dunque chiaro che il governo ritiene difficile scegliere una strada che scarica un onere così rilevante sulle casse pubblico. «Servono — ha aggiunto non a caso Nannicini — uno sforzo di creatività e soluzioni di mercato ». E lo stesso Padoan rispondendo alla domanda del deputato Maino Marchi (Pd) ha spiegato di essere «sicuramente aperto a fonti di finanziamento complementari che si possono studiare ». Due indicazioni — quelle di Nannicini e Padoan — che sembrano, in questa fase ancora di riflessione, rafforzare l’ipotesi del prestito bancario. A Palazzo Chigi se n’era già discusso lo scorso anno, poi a frenare — secondo alcune fonti — fu proprio il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, poco convinto su una soluzione che mettesse in campo le banche e potesse essere interpretata come un sostegno agli istituti di credito. Insomma, poco popolare. Non si sa se Renzi abbia cambiato idea, si sa però che tra i tecnici del governo quell’ipotesi è ritornata sul tavolo. D’altra parte (da qui la richiesta di «creatività » da parte di Nannicini) senza modificare i patti europei non sarebbe possibile abbassare l’età pensionabile (a fronte di una penalizzazione dell’importo della pensione) perché questo nel breve periodo avrebbe un impatto notevole sui conti pubblici, innalzando il deficit. A nulla serve — perché le regole europee non lo contemplano — il fatto che, per effetto della penalizzazione, nel tempo medio-lungo quelle risorse verrebbero ampiamente recuperate visto che l’Inps pagherebbe per più anni una pensione più bassa. Ma poiché non è all’orizzonte una modifica degli accordi europei né una delle regole di contabilità nazionale per attualizzare i risparmi, non resta che trovare altre vie d’uscita. Quella del prestito bancario ne è una. Vediamo, in sintesi, come funzionerebbe.

Un lavoratore al quale mancano due o tre anni all’età della quiescenza potrebbe chiedere all’Inps di calcolargli l’importo della pensione con una penalizzazione che — secondo il ragionamento dei tecnici — potrebbe arrivare al 3-4 per cento per ogni anno di anticipo. L’assegno, fino al compimento dell’età per la pensione di vecchiaia, verrebbe erogato da una banca come fosse un prestito. L’Inps agirebbe solo da garante del prestito. Una volta raggiunta l’età pensionabile, l’assegno verrebbe pagato dall’Inps e il lavoratore comincerebbe a restituire a rate il prestito delle banche. Per questa soluzione, che non avrebbe impatto sui conti pubblici, servirebbe preventivamente un accordo tra il governo (o l’Inps) e l’Abi, l’associazione delle banche.

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