Più uomini in Siria e cyberguerra ecco il piano Usa per sconfiggere l’Is
BARACK Obama vuole dare una marcia in più alla coalizione contro lo Stato islamico. Ci mette del suo, e chiede agli europei di fare altrettanto. Usa il summit di Hannover con quattro leader dell’Unione, per annunciare l’invio di altri 250 militari americani in Siria. Estende la cyber-guerra del Pentagono ai jihadisti. Incalza gli europei all’unità e a mobilitare più risorse — militari, economiche — contro il comune nemico. È un “upgrade” della strategia in Siria che coincide coi segnali di fallimento dell’armistizio e la disillusione sul r sembra preludere alla transizione verso una presidenza Hillary Clinton, la candidata che Obama vorrebbe vedergli succedere alla Casa Bianca. La Clinton infatti, pur sottolineando la propria continuità con Obama, fin da quando era segretario di Stato premeva per un profilo più aggressivo della politica Usa in Siria. La correzione di rotta di Obama si completa con un appassionato appello all’Unione europea perché “creda di più in se stessa”, la smetta di combattere il terrorismo in ordine sparso, e affronti con politiche comuni l’emergenza- profughi. «Forse avete bisogno di un outsider come me, per ricordarvi l’importanza di quello che avete realizzato stando uniti».
L’invio di 250 militari delle forze speciali è un passo ancora modesto, cerca di non contraddire il principio obamiano “niente scarponi Usa sul terreno”. In realtà gli scarponi stanno aumentando, i nuovi reparti avranno assetto di combattimento, quindi potranno essere esposti alle rappresaglie dell’Isis. Si aggiungono ai 217 uomini dei commando speciali che il segretario di Stato Ashton Carter ha mandato nel vicino Iraq. Sempre, ufficialmente, in funzione di supporto alle forze locali. «Non saranno i soldati americani — sottolinea Obama — a guidare i combattimenti sul terreno, ma saranno essenziali nel fornire l’addestramento e l’assistenza alle forze locali». Obama valuta che le forze speciali già presenti in Siria (solo una cinquantina di uomini) hanno contribuito ai progressi degli ultimi mesi, alla riconquista di territori strappati ai jihadisti. L’ampliamento di questi reparti speciali «manterrà il momentum, l’impeto a nostro favore».
Agli europei Obama chiede uno sforzo analogo, e più unità. Nel summit ristretto con Angela Merkel, Matteo Renzi, François Hollande e David Cameron, il presidente americano avanza richieste precise. «Date già un contributo importante contro l’Is, ma potete fare di più». Le richieste americane sono di tre tipi, riguardano sia la Siria che l’Iraq: più partecipazione europea ai raid aerei; un maggiore contributo all’addestramentodelle forze locali; un’assistenza economica per stabilizzare le aree già liberate e sottratte al Grande Califfato (in Iraq). Questo sforzo congiunto deve servire anche a convincere un maggior numero di arabi sunniti a unirsi ai combattimenti, tema che Obama ha affrontato con gli alleati del Golfo Persico nella tappa precedente in Arabia saudita.
Tra le novità maturate a Washington, secondo un retroscena del New York Times, c’è il nuovo fronte della cyber-guerra aperto dal Pentagono contro l’Is. Finora i militari avevano come bersagli della guerra digitale delle potenze “tradizionali”: Cina, Russia, Iran e Corea del Nord. Adesso gli stessi metodi che servirono (tra l’altro) a sabotare il programma nucleare iraniano verranno rivolti anche contro le trame dell’Is.
Obama inserisce questi nuovi annunci all’interno di un’appassionata difesa del progetto europeo, continuando in Germania una missione che a Londra lo aveva portato a denunciare i rischi di Brexit. La sua esortazione di Hannover non è rivolta solo ai quattro leader ma “al popolo d’Europa”. Fa appello all’unità per affrontare le due sfide più gravi del momento: il terrorismo e l’emergenza profughi. Cita il poeta Yeats nel descrivere i terribili pericoli di una situazione in cui «i migliori sono privi di convinzione mentre i peggiori sono pieni di passione ». Con un implicito riferimento a Donald Trump oltre che ai leder xenofobi in Austria e altri paesi europei, denuncia «quelli che sfruttano paure e frustrazioni per canalizzarle in modo distruttivo ». Non possiamo aspettarci progressi in altre parti del mondo, è il monito che affida al Vecchio continente prima di tornare a Washington, «se un’Europa unificata, pacifica e liberale, dubita di se stessa, del valore di ciò che ha costruito».
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