Spagna, verso nuove elezioni il 26 giugno
È iniziata ieri l’ultima settimana della legislatura più corta della democrazia spagnola. Dopo ben cinque mesi dalle elezioni, è ormai chiaro che i partiti spagnoli non sono stati in grado di raggiungere un accordo. La campagna elettorale è iniziata da molte settimane.
Il giorno 3 maggio scadranno i sessanta giorni dalla prima seduta di investitura del Congresso, giorno a partire dal quale scatta il conto alla rovescia per la formazione di un nuovo governo. E per la prima volta sarà dunque il re Filippo VI a sciogliere le camere, una funzione che in circostanze normali spetta sempre al presidente del governo. Le elezioni in questo caso saranno celebrate il giorno 26 giugno.
Ieri il monarca ha iniziato un terzo giro di consultazioni, dopo i primi due che culminarono con l’incarico al socialista Pedro Sánchez. Oggi il Borbone vedrà i quattro principali partiti. Il capo dello stato è intenzionato ad affidare un nuovo incarico solo nel caso esistano possibilità concrete di successo, cosa che al momento è da escludersi.
La prima ragione è che non c’è più tempo: per votare la fiducia entro martedì prossimo, la prima sessione andrebbe convocata al massimo venerdì di questa settimana, per votare la prima volta il giorno dopo (e qui ci vorrebbe la maggioranza assoluta dei voti); dopodiché, devono passare 48 ore, e si dovrebbe convocare la seconda seduta lunedì per votare martedì, e stavolta basterebbe una maggioranza di sì. Ma finora, nelle uniche due sedute di investitura, il conteggio dei seggi favorevoli si è fermato a 131.
Il secondo motivo è che Mariano Rajoy in queste settimane non si è mosso dalla sua posizione di attesa passiva. Nonostante il fallimento di Sánchez, che non è riuscito ad aggiungere che un solo voto ai 130 seggi garantiti dal suo partito e da Ciudadanos, Rajoy non ha saputo giocare le sue carte per salvare se non se stesso almeno il suo partito. E ha continuato a sperare in elezioni che, pensano, potrebbero ridare fiato al Pp, se non altro per un tasso d’astensione che si prevede alto, e magari rafforzare Ciudadanos, con cui non sarebbe difficile arrivare a un accordo.
Ma obiettivamente, c’è anche un altro grande sconfitto da queste settimane di negoziati infruttuosi: Pedro Sánchez, che non ha voluto – o non ha potuto – esplorare un’alleanza a sinistra verso cui in seguito spingere Ciudadanos. Per ragioni ideologiche, questo partito avrebbe avuto difficoltà a difendere davanti ai suoi elettori un voto che avrebbe spinto alle elezioni anticipate, mentre ora può sostenere di essere l’unico partito “responsabile”. Ma Sánchez aveva le mani legate dal suo stesso partito: meglio fallire, ma con Podemos (e l’astensione già promessa degli indipendentisti catalani e baschi) mai. Aver tentato la manovra opposta di spingere Podemos all’astensione, se mai qualcuno fra i socialisti avesse mai pensato ingenuamente che fosse realistica, è fallita miseramente. L’ultima disperata proposta per sbloccare la situazione l’ha fatta Ciudadanos, chiedendo una soluzione tecnica, un incarico a un Monti spagnolo. Sarebbe una decisione inedita per la giovane democrazia spagnola.
Ma forse l’obiettivo dei pesi massimi socialisti era proprio quello di bruciare Sánchez per spianare la strada a Susana Díaz, la potente, e assai più politicamente moderata, presidente andalusa, che è da sempre segretaria in pectore. D’altra parte, Sánchez invece sembra convinto che tanta visibilità e il framing narrativo su cui ha giocato di “aver fatto di tutto” per formare il governo gli gioveranno elettoralmente. E sarà bene per lui che sia così: perché invece stavolta – con buona pace di Rajoy – i risultati elettorali potrebbero essere molto diversi. Perché Podemos ha fatto marcia indietro rispetto a sei mesi fa, e sembra molto più vicino ad accettare un accordo con Izquierda Unida, unico partito che non esce penalizzato – stando ai sondaggi – da questi mesi di frustrazione.
Certamente per le qualità politiche e umane del portavoce Alberto Garzón, e per la delusione rispetto al partito di Pablo Iglesias, che ha gestito i negoziati in maniera poco lineare e con poca abilità. Ma la somma delle due liste a livello nazionale, come già avvenuto in Catalogna, Galizia e Valencia, potrebbe ottenere un risultato strabiliante, complice una legge elettorale che penalizza molto i partiti più piccoli diffusi a livello nazionale. Se anche gli elettori votassero esattamente nello stesso modo, IU+Podemos+ alleanze locali avrebbero 14 seggi in più (85 seggi invece degli attuali 69 + 2 di IU), e tre seggi in meno dei socialisti (che scenderebbero a 88). E soprattutto, il governo di sinistra sarebbe praticamente fatto (avrebbe 173 voti, a un passo dai 176 che segnano la maggioranza assoluta).
La speranza di Garzón e Iglesias è proprio il sorpasso del Psoe. Uno scenario per nulla fantascientifico, visto che Podemos + IU + alleanze locali hanno già mezzo milione di voti più del Psoe. Per ora i due partiti non confermano nulla, ma se il matrimonio si farà, il 27 giugno ne vedremo delle belle.
Related Articles
Stati Uniti. La trasformazione di Vance in vice di Trump: un clone e erede?
Vance ha capito che per avere un futuro politico doveva abbracciare il trumpismo. Il miliardario Peter Thiel ha speso più di 10 milioni di dollari per aiutarlo a vincere il seggio al Senato
Il patto militare Grecia-Israele
La strategia Usa/Nato che, nell’offensiva verso Est e verso Sud, mira a integrare sempre più strettamente la Grecia non solo nell’Alleanza ma nella più ampia coalizione comprendente paesi come Israele, Arabia Saudita, Ucraina
Email, vecchi scandali e misteri Disastro Hillary, eterna candidata
E’ quasi certo che, se arrivasse alle Presidenziali, la valanga di informazioni negative danneggerebbe Hillary tra gli elettori incerti negli Stati in bilico