Fidel: «Resteranno le idee»
L’AVANA «Per tutti arriva il proprio turno, però resteranno le idee del Partito comunista». È stato Fidel, martedì, a concludere il VII Congresso del Pcc, commuovendo i mille delegati e gli invitati, affermando che «fra poco compirò 90 anni e forse è l’ultima volta che parlo in questa sala», ma che la sua eredità, ovvero il socialismo realizzato nell’isola resterà, assieme al messaggio, che i delegati devono diffondere al mondo e all’America latina: che «il popolo di Cuba vincerà».
Visibilmente invecchiato, vestito, come sempre, con una semplice tuta da ginnastica, Fidel ha ribadito poi quale deve essere oggi il centro della politica, ovvero i grandi temi dell’ambiente («Come alimentare miliardi di persone la cui realtà si scontrerà con i limiti fisici del pianeta, l’acqua e le risorse naturali di cui avranno necessità») e della pace. Si è trattato di un intervento coinciso ma di alto profilo, con la difesa delle idee (anticolonialiste e antimperialiste) della Rivoluzione sovietica e, appunto, indicando che la politica deve avere al centro gli interessi dell’umanità e non del capitale. Il lider maximo si è schierato a sostegno delle riforme iniziate dal fratello Raúl e con l’obiettivo di giungere a Cuba a un «socialismo prospero e sostenibile», delle misure e dei tempi indicate nelle tesi del Congresso per attuarle e della direzione «storica» del partito-stato che nei prossimi cinque anni dovrà governare tale processo.
L’imprimatur di Fidel non è rituale. «Anche nella base del partito, afferma il professor Enrique López Oliva, si attendevano misure più avanzate in materia di riforma economica in relazione al processo di disgelo con gli Usa, come pure l’inizio di un rinnovamento generazionale nella direzione del partito e dello Stato». Il Congresso ha rieletto tutto il vertice dell’Ufficio politico, ovvero la direzione civile e militare espressione della Rivoluzione del 1959, e composto in gran parte da ultraottantenni.
È stato riconfermato Ramón Machado Ventura nella sua carica di primo vicesesegretario generale del Pcc nonostante quest’anno compia 86 anni e che rappresenti l’ala del partito giudicata più «conservatrice». Alla vigilia, circolavano voci su un possibile segnale di rinnovamento con l’«innalzamento» alla carica di primo vicesegretario del più giovane Diaz-Canel, generalmente indicato come il probabile successore di Raúl alla presidenza della repubblica. I nuovi membri dell’Ufficio politico, due uomini e tre donne, non sembrano, secondo i critici, sufficienti a garantire «la marcia in più» che sarebbe necessaria ad affrontare il difficile periodo di crisi e di cambiamenti. La riforma della Costituzione che dovrà assicurare un rinnovamento completo dell’attuale vertice del partito –prevede un limite massimo di 60 anni per i membri del Comitato centrale e di 70 anni per quelli dell’Ufficio politico e la possibilità di un massimo di due periodi di cinque anni di carica e che tali limiti si estendano anche alle massime cariche dello Stato- è dunque rimandata al prossimo Congresso previsto nel 2021.
E con essa un ricambio generazionale che, anche all’interno del partitto, viene individuato come un fattore importante. «Il Doi Moi (rinnovamento) in Vietnam è iniziato quando è stata sostituita la vecchia direzione dei tempi di Ho Chi Min, e per il nuovo corso in Cina è stato necessario il ricambio del vertice maoista», sostiene Jorge un giovane militante del partito comunista. Il Congresso ha approvato (all’unanimità e senza interventi correttivi) la continuità del processo di riforme economiche e sociali ( in gergo politico locale i Lineamenti) decise cinque anni fa con un piano di lavoro per renderle effettive e produttive nei prossimi quindi anni. Tali misure in sostanza tendono a rendere meno stringente il controllo dello Stato sull’economia, concedendo più autonomia alle imprese statali e affidando un crescente ruolo alle cooperative e al settore privato per riassorbire le molte centinaia di migliaia di lavoratori espulsi dal settore pubblico e per dare più efficienza al sistema produttivo cubano.
Una parte dei delegati ha esaminato la tesi sulla «concettualizzazione del sistema socialista cubano» ovvero dell’ambito economico politico nel quali opereranno le riforme. La preoccupazione di fondo, espressa anche dal presidente Raúl nel suo discorso di apertura, è che il rafforzamento del settore dei cuentapropisti comporti sia un allargamento della forbice sociale con una «concentrazione della proprietà» nel settore privato, sia alla formazione di una classe media che potrebbe poi rivendicare obiettivi politici in contrasto con il socialismo cubano in alleanza con gli Usa. Per questa ragione, non solo è stato riconfermato che i piccoli imprenditori non hanno personalità giuridica (in pratica non hanno la proprietà del loro negozio ma sono solo titolari di una licenza) ma è stata aggiunta una clausola che «proibisce la concentrazione della ricchezza» nelle mani dei privati.
Due importanti voci nel Congresso hanno ripreso le tesi di Fidel sul pericolo della «mano tesa» dal presidente Obama se questa, come sembra, comporta un attacco al sistema socialista. Il ministro degli Esteri Bruno Rodríguez ha infatti definito la recente visita del presidente degli Usa all’Avana come «un attacco» a Cuba, mentre Abel González Santamaría, viceconsigliere della Commissione difesa e sicurezza nazionale (guidata dal figlio di Raúl, Alejandro) si è riferito al discorso rivolto da Obama alla popolazione cubana come a quello di una sirena che, suppostamente, vuole far naufragare i cittadini cubani. Le tesi approvate dovranno ora essere sottoposte alla discussione della base.
Questa è l’indicazione data da Raúl – riconfermato primo segretario generale del partito, carica che probabilmente manterrà anche quando, nel febbraio 2018, lascerà la presidenza della repubblica- anche per rispondere alle critiche che, a differenza del precedente congresso, non vi era stato un massiccio dibattito nella base. Una discussione necessaria, perché la linea del più giovane dei Castro, quella di procedere ai cambiamenti ma, ma «senza avere fretta» per non incorrere in errori, seppur confermata dalla massima istanza del partito non sembra però convincere una parte della base. Soprattutto i giovani, che continuano ad esprimere molta preoccupazione riguardo al loro futuro e, in parte, a «votare con i piedi» cercando di emigrare.
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