by Marzio Breda, Corriere della Sera | 14 Aprile 2016 10:17
Torino «Non basteranno muri e barriere a proteggerci, se l’Europa non farà passi avanti come progetto comune. Abbiamo lavorato settant’anni per abbattere i muri che ci dividevano: non lasciamo che rinascano, creando diffidenze e tensioni laddove, al contrario, servono coesione e fiducia. Le barriere che dividono l’Europa sono una zavorra che ne appesantisce il cammino. Sono lieto che il rappresentante della Commissione abbia pronunciato parole chiare su quanto sta avvenendo al Brennero. Tornare indietro da Schengen sarebbe un atto di autolesionismo, per tutti».
Nelle ore in cui tra Austria e Italia sta per materializzarsi di nuovo una frontiera (anche di polemiche), Sergio Mattarella torna con netta coerenza sulla questione migratoria e sulle risposte da pianificare per quest’emergenza. Risposte all’umanità in movimento «che bussa alle nostre porte». E risposte alle nostre opinioni pubbliche «frastornate» e impaurite. Certo, avverte che per replicare su entrambi i fronti «senza rinunciare a ciò che siamo», e dunque ai «principi fondamentali del nostro essere europei», serve «l’intelligenza del senso di realtà». Come fare, in concreto? «Tenendo insieme l’accoglienza di chi ha diritto d’asilo, l’integrazione di chi viene a lavorare nelle nostre società e così contribuisce al nostro benessere, la fermezza nel contrastare i trafficanti di uomini».
Tutto questo, per il capo dello Stato, andrebbe coordinato in uno sforzo comune dell’intera Ue (che invece procede in ordine sparso, dimostrandosi istituzionalmente e politicamente fragile). Perché «registrazione, asilo, collocazione e rimpatri per chi non ha diritto all’asilo si tengono insieme». Infatti, spiega, a scanso di nuovi equivoci, «non può esserci registrazione, per quanto completa e scrupolosa, che possa esser efficace senza effettiva ricollocazione e senza accordi di rimpatrio che soltanto l’Unione può gestire con i Paesi d’origine».
Ecco il punto, per lui. «Più Europa non vuol dire soltanto più solidarietà, ma anche più sicurezza». Non ci sono alternative. Lo dimostra il fatto che «nessuno può vantare un piano B, fondato su una presunta via nazionale». Anzi, incalza, «possiamo dire che laddove l’Europa ha mancato in solidarietà nell’accoglienza dei profughi, o nella sua politica estera, o in efficacia di contrasto alle bande di estremisti assassini, questo è avvenuto per una carenza di Europa e non per un suo eccesso».
È quel che pensa anche il presidente tedesco Joachim Gauck, che affianca Mattarella al forum italo-tedesco convocato ieri a Torino. «Nessun Paese può da solo affrontare il problema… la migrazione, se ben gestita, può essere motore di ripresa e sviluppo… bisogna trovare un meccanismo sostenibile». Sintonia su questa che è diventata la nostra «maggiore sfida», e sintonia sul processo di integrazione europea, per entrambi gli uomini di Stato mai così a rischio come in questi anni difficili. Dopo una stagione di diffidenze e di «estraniazione strisciante» (così fu definito il rapporto Roma-Berlino da alcuni studiosi una decina d’anni fa), il dialogo andato in scena al Teatro Regio ha registrato esplicite simmetrie tra i due Paesi.
Sui migranti, come si è visto. E anche sul senso collettivo di sicurezza, ferito in modo durissimo dagli attentati terroristici di Parigi e Bruxelles. Per rafforzarlo Mattarella rilancia una ricetta da lui già proposta in diverse Cancellerie: «Una collaborazione che superi le resistenze alla necessità di mettere in comune capacità e conoscenze». Ma soprattutto, e sempre a livello di Unione, interventi «sulle cause profonde dell’instabilità» in certe aree di crisi in cui si stanno insediando i fondamentalisti dell’Isis (Iraq, Siria, Libia, Africa sub-sahariana) e dove «si avverte il bisogno di un’Europa che sappia assumersi le proprie responsabilità». Quell’Europa che deve, «con lungimiranza», fare ancora nuovi scatti in avanti sul mercato digitale, su finanza, servizi e cultura.
Marzio Breda
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