Cameron a picco I Panama Papers aiutano la Brexit
LONDRA Indeciso. Reticente. Ambiguo. E ora paga. Il premier britannico David Cameron in quattro giorni ha cambiato versione sui Panama Papers per cinque volte. A caldo, di fronte ai primi documenti sul fondo offshore del padre Ian, si era limitato a dire che «è una questione privata».
Da ultimo, giovedì, ha ammesso in televisione di avere beneficiato di una partecipazione nella società panamense poi trasferita in Irlanda ma di averla venduta (valore 30 mila sterline) alla vigilia del suo insediamento a Downing Street nel 2010 e di avere saldato col Fisco i conti dovuti.
Giravolte che gli macchiano l’immagine nel momento più delicato della sua carriera.
E il risultato è che la sua popolarità nei sondaggi va a picco: YouGov certifica che solo 34 britannici su 100 ritengono positiva l’azione di governo del premier mentre 58 lo bocciano.
E quel che è peggio per lui, sale l’indice di gradimento per Jeremy Corbyn il terribile, leader laburista che guadagna il 30% di consensi e il 54 delle disapprovazioni.
Forse le rilevazioni statistiche hanno il difetto di essere state effettuate sull’onda emotiva creata dai titoli sui Panama Papers ma lo stesso leader conservatore ammette che la «situazione è seria», come non mai da che siede a Downing Street. Anche perché la questione in realtà non è affatto chiusa.
Incalzano le opposizioni dei laburisti cavalcando l’immagine di un primo ministro screditato che ha «ingannato gli elettori» (affondo di Corbyn) e che «merita di essere arrestato» (cartolina di Ken Livingstone, per otto anni sindaco rosso di Londra).
Si agitano gli indipendentisti scozzesi che gli rimproverano la mancanza di credibilità e di stile, si muovono gruppi di base che convocano manifestazioni (per oggi) davanti a Downing Street e anche su Twitter raccoglie proseliti la parola chiave «Cameron dimettiti».
Persino Edward Snowden, l’informatico americano che alzò il sipario sulla sorveglianza di massa operata dai servizi di intelligence degli Stati Uniti, invita i cittadini del Regno Unito a scendere in piazza e a mandare a casa il capo del governo.
Se si aggiunge che, aldilà della solidarietà formale, molti conservatori a cominciare dal numero uno del fronte Brexit, il rivale Boris Johnson, si divertono all’idea di vedere un Cameron in difficoltà, il quadro appare piuttosto traballante.
Al punto di convincere Downing Street a pubblicare la settimana prossima le dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni per dimostrare che non è vi è mai stata alcuna evasione o elusione delle imposte.
Un Cameron isolato e «amareggiato» (come ha confessato) che sarà con ogni probabilità trascinato a dare qualche spiegazione alla Camera dei Comuni e che, per la prima volta, si ritrova contro tutto il fronte della stampa un tempo «amica», dai fiancheggiatori tabloid (il Sun dell’ex amico Murdoch e il Daily Mail ) al serio e moderato Daily Telegraph . Alleati fedeli che lo hanno abbandonato.
Lo scossone provocato dai Panama Papers qualche ricaduta rischia di averla sul serio. Sia nelle prossime elezioni amministrative del 5 maggio, con Londra che può tornare in mano ai laburisti (in vantaggio nelle rilevazioni sulle intenzioni di voto), sia nel referendum sull’Europa del 23 giugno.
Gli umori sulla Brexit non volgono al meglio. Il fronte europeista per la maggioranza dei campionamenti effettuati è ancora avanti ma le certezze si indeboliscono.
Le ambiguità di un primo ministro che impiega quattro giorni per ammettere di avere avuto soldi offshore (cosa che per altro non è vietata, a meno che la schermatura non copra dei reati finanziari) sono un regalo inaspettato per la composita schiera degli euroscettici.
La campagna per il sì all’Europa è in salita, con il suo primo sostenitore (David Cameron) in deficit di popolarità e di credibilità, sbeffeggiato pure dal profilo ufficiale della serie tv «House of Cards» che richiama le vecchie parole del premier contro i paradisi fiscali e gli dà dell’ipocrita.
Se si tiene pure conto del possibile effetto di trascinamento del referendum olandese che ha bocciato l’accordo Ue-Ucraina, risulta evidente che la Brexit è un fantasma con cui ormai è necessario misurarsi. Da qui al prossimo 23 giugno il premier Cameron si gioca tutto .
Fabio Cavalera
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