by ALBERTO D’ARGENIO, la Repubblica | 5 Aprile 2016 10:38
Nuova mossa di Bruxelles contro le multinazionali che evadono il fisco in Europa. Sulla scia degli scandali degli ultimi anni, per ultimo i Panama Papers ma senza scordare LuxLeaks e le rivelazioni su altri paesi dell’Unione come l’Olanda che stringevano accordi con le grandi aziende globali per far pagare loro aliquote ridicole sui profitti realizzati in tutto il continente, la Commissione ora chiede a tutti i grandi gruppi di rendere pubblici i bilanci e il valore delle imposte versate in ogni singola nazione europea in cui operano. Un modo per imporre un controllo pubblico ed evitare accordi sottobanco con governi compiacenti.
A gennaio la Commissione ha varato il primo pacchetto contro le frodi delle multinazionali imponendo loro di pagare le tasse nel Paese nel quale svolgono la propria attività e realizzano profitti. Tra 10 giorni Bruxelles completerà l’opera con il provvedimento centrale per centrare l’obiettivo.
Come spiega la bozza di direttiva che sarà approvata la prossima settimana dalla squadra di Jean-Claude Juncker, il sistema è quello del country-by-country. Le multinazionali – europee e non – con un giro d’affari superiore ai 750 milioni (il 15% delle aziende pari al 90% dei profitti) con una filiale nell’Unione, dovranno pubblicare sul proprio sito e su un apposito registro tutte le informazioni sulle attività svolte in ogni singolo Paese europeo: la natura del proprio business, il numero di impiegati, il giro d’affari, i profitti prima delle tasse, la quantità di tasse previste e quelle pagate al fisco di quel Paese. Lo scopo della norma è dichiarato da Bruxelles: «Un ambiente di regole complesse e di riservatezza fiscale permetteva alle multinazionali di sfruttare scappatoie non trasparenti e di frodare il fisco» per un valore complessivo in Europa di 70 miliardi all’anno. Per questo, per impedire che le grandi aziende spostino i profitti da un Paese all’altro spuntando un trattamento di favore, prassi che ad oggi costa il 30% di tasse in più alle imprese oneste, la Commissione vuole «allineare a livello geografico le entrate fiscali alle attività svolte, promuovere una concorrenza più leale nella Ue con un dibattito trasparente e democratico» e recuperare la fiducia dell’opinione pubblica persa negli ultimi anni.
La proposta dovrà essere accettata dall’Europarlamento e dai governi dei 28, ma non avrà vita facile tra chi la ritiene debole accusandola di evitare il profit shifting nella Ue ma non verso i paradisi fiscali degli altri continenti, e chi al contrario la vuole depotenziare. Il gruppo socialista a Strasburgo, ad esempio, vorrebbe di più come spiega il capogruppo Gianni Pittella (Pd): «Vogliamo che la proposta riguardi tutti i paesi e non solo quelli dell’Ue perché i cittadini devono conoscere le imprese che spostano i profitti nei paradisi e vogliamo che l’ obbligo di trasparenza si applichi a tutte le imprese». Tra i governi vogliono di più quelli di Francia e Germania, mentre britannici, irlandesi e olandesi proveranno a smontare la proposta.
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