Sparizioni forzate Il sistema Al Sisi

Sparizioni forzate Il sistema Al Sisi

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Il 25 gennaio 2016, anniversario della rivoluzione del Cairo e data della sparizione di Giulio Regeni, viene indicato dalla Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà come la data d’inizio di una «nuova fase preoccupante» nel fenomeno delle sparizioni forzate. Prima di quella data — spiega la ricercatrice Riham Wahba — gli scomparsi tendevano a riapparire prima o poi in prigione, nei commissariati o davanti al procuratore «con accuse costruite, solitamente incentrate sull’appartenenza alla Fratellanza Musulmana, la destabilizzazione del Paese e la diffusione di notizie false». Dal 25 gennaio però tre scomparsi sono riapparsi all’obitorio, con chiari segni di tortura sul corpo. Già nel 2015 c’erano state cinque morti accertate dopo sparizioni forzate. «Ma erano riapparsi vivi e sono poi deceduti in prigione o una volta liberi, a causa delle torture o del peggioramento della salute. Nel 2016 sono spuntati invece i cadaveri in obitorio».

I numeri

La Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, insieme al Centro El Nadim per la Riabilitazione delle Vittime di Violenza è la fonte dell’inchiesta del Corriere della Sera sulle sparizioni forzate avvenute dall’agosto 2015 ad oggi: oltre 500 persone prelevate, tenute in centri segreti, torturate; e di 396 non si sa più nulla. La Commissione sta per pubblicare un nuovo rapporto che porterà a 569 il numero dei casi documentati negli ultimi otto mesi. «Si tratta comunque di stime conservative» nota il direttore Mohamed Lotfy, un ex ricercatore di Amnesty. Molte famiglie non fanno denuncia, per timore di ritorsioni o nella convinzione che gli attivisti possano fare poco. «La reale portata del fenomeno potrebbe essere di 1700 casi l’anno, sulla base della media è di 2,7 casi al giorno».

Islamisti e non solo

Gli apparati prendono di mira non solo gli islamisti, i loro amici e i loro parenti, ma un gruppo più ampio di persone, inclusi studenti e attivisti laici, e anche persone politicamente non affiliate. «C’è un 20% di arresti che avvengono praticamente a caso — ci dice l’avvocato Hisham Halim —. Una volta, per esempio, le forze di sicurezza cercavano una determinata persona e, trovandola a casa con gli amici, hanno fermato tutti e 17 i presenti incluso un cieco». Il modus operandi si ripete: le forze di sicurezza prelevano le persone a casa, sul lavoro o in strada; le perquisiscono e minacciano di fronte ai familiari e colleghi; bendano la vittima e l’arrestano; poi negano che l’arrestato si trovi in alcun commissariato o prigione.

Soprattutto ventenni

Le donne sono una minoranza (4 nel nostro conteggio). L’età media è sui 25 anni ma ci sono alcuni minorenni, spesso 16-17enni: una dozzina tra agosto e novembre 2015, una trentina nei 4 mesi successivi. «A gennaio ne sono stati prelevati 15 tutti insieme ad Alessandria», spiega Wahba.

Il variare dei numeri delle sparizioni registrate da un mese all’altro non dipende da un diverso approccio delle forze di sicurezza, secondo Lotfy, ma dalla disponibilità delle famiglie a denunciare i casi: è stata maggiore ad agosto e settembre, quando fu lanciata la campagna «Basta Sparizioni Forzate» e il governo rispose su alcuni casi; ed è stata alta dopo la visibilità del caso di Giulio. A gennaio invece i casi registrati erano diminuiti perché «abbiamo dovuto lavorare da casa, temevamo di essere attaccati in ufficio, un nostro membro del consiglio di amministrazione, Ahmed Abdullah, è stato quasi rapito».

La «ricomparsa»

La metà degli scomparsi riappare nel giro di due settimane o un mese — spiega Lotfty —, il 25% entro sei mesi e il resto dopo più tempo (e a volte non riappare). Molti hanno subito torture, come elettroshock e minacce di violenze sessuali, al fine di estrarre loro confessioni o informazioni sull’organizzazione di proteste o presunti attacchi terroristici.

Sui tre casi di «ricomparsa» dei corpi in obitorio nel 2016, Lotfy afferma che spiegare il perché è difficile. «Forse è il risultato di un crescente senso di impunità ed è anche un modo per diffondere la paura. O forse, come potrebbe essere accaduto nel caso di Giulio, chi li ha fatti sparire teme che, una volta liberati, parlino».

Viviana Mazza



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