“Il vescovo vuole farmi dimettere ma non mi zittirà sulle fabbriche killer”
«DICONO che mi occupo più dei morti che dei vivi, che trascuro le confraternite. Ma le pare che mi si può cacciar via per questo?».
Forte dell’abbraccio della sua gente, che ha deciso di mobilitarsi per lui dalla piazza virtuale dei social network a quella reale davanti alla Chiesa madre domenica pomeriggio gremita fino all’inverosimile nonostante la pioggia battente, don Palmiro Prisutto, il sacerdote che ha fatto della battaglia contro l’inquinamento ambientale il vessillo della sua missione, conferma l’indiscrezione che da giorni agita la cittadina del Siracusano: «Sì, è vero l’arcivescovo, monsignor Pappalardo, mi ha chiesto di dimettermi, ma io non ho nessuna intenzione di farlo».
Don Palmiro, perché l’arcivescovo le ha chiesto di dimettersi?
«Lo vorrei sapere anch’io e soprattutto lo vorrebbero sapere i miei parrocchiani. Da tre anni, da quando sono parroco della Chiesa madre, ogni ultima domenica del mese a Messa leggo i nomi di tutte le vittime di tumore nel mio territorio, 40 chilometri con 12 insediamenti industriali tra centrali termoelettriche, raffinerie, cementifici, inceneritori. Quei nomi sono già diventati 815, un vero e proprio olocausto industriale. Un tasso di mortalità per tumori più alto del 30 per cento della media nazionale e più di 1000 bambini malformati nati negli ultimi dieci anni. E io non intendo tacere».
È questo che vogliono?
«Nessuno lo dirà mai chiaramente ma certamente non mi si caccerà per i malumori di due confraternite, a cui forse ho tolto un po’ di visibilità, che si lamentano di essere trascurate perché io non rispetto le loro tradizioni. Io non ho tempo da perdere con un’idea di religiosità che, per altro, non condivido affatto. Ho cose ben più importanti da fare. Il mio è solo un sospetto, e cioè che queste confraternite siano strumentalizzate da poteri forti, gli stessi che hanno detto chiaramente ad associazioni sportive, fondazioni, associazioni che gravitano attorno alla chiesa: “Fino a quando c’è don Palmiro non avrete neanche un euro di contributo”. E allora che vogliamo fare? Vogliamo monetizzare il loro silenzio? Vogliamo comprare chi si gira dall’altra parte? Non c’è dubbio che il mio operato è una grana per molti di loro e che questi contributi da tempo siano molto generosi con chi lavora a Priolo o a Melilli dove magari sono molto più prudenti ».
E il vescovo sarebbe così sensibile a questo tipo di “pressioni”?
«Il vescovo potrebbe essere in parte estraneo a questa storia. Certo, la Chiesa non si schiererà mai ufficialmente in questa situazione. Io, se lui mi dice che ho spaccato la comunità parrocchiale, che non ho saputo fare comunione tra fedeli, mi arrendo. Ma non è vero, come ha dimostrato la grande manifestazione di piazza di domenica sera e come dimostrano le migliaia di adesioni al gruppo #IostocondonPalmiro su Facebook. Non si può defenestrare un sacerdote solo perché a darti informazioni di questo genere è gente estranea alla comunità parrocchiale. Lo ribadirò all’arcivescovo e gli ribadirò che non intendo dimettermi. Ancora da lui non ho avuto risposte».
Ma intanto lei ha annunciato di voler smettere di leggere a Messa la lunghissima lista dei nomi delle vittime di tumore. Perché?
«Non è in alcun modo una resa. Intendo portare la mia battaglia fuori dalla Chiesa visto che non so se potrò impegnarmi per il futuro. Quando io sono arrivato qui le famiglie non dichiaravano neanche che i loro cari morivano per tumore. Vinceva la paura, la paura di perdere il lavoro perché qui quelle industrie danno lavoro e morte. Io ho saputo solo dagli impresari delle pompe funebri che centinaia di quei morti erano giovani vittime di tumore. Ho cominciato a dire alle famiglie che i loro morti non erano fantasmi e ho cominciato a chiamarli per nome. Così è nata l’idea di quell’elenco che adesso ho racchiuso in una sorta di tabella toponomastica che ho donato al sindaco Cettina Di Pietro perché la affigga in una pubblica piazza. Adesso sto pensando ad una iniziativa nuova, tipo le mamme di Plaza de Maya. Voglio far uscire allo scoperto chi deve».
E che altro ha pensato di fare?
«Ad esempio andare tutti al cimitero a portare un fiore sulle tombe di chi è morto di cancro e muovere in corteo per una messa in piazza. E dire che aspettiamo che anche lo Stato, che è il grande responsabile di questo olocausto, venga a deporre il suo fiore come fa quando ricorda le vittime di altre stragi. Perché, come dico da anni, è vero che dobbiamo morire tutti, ma non essere assassinati dalle istituzioni ».
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