L’allarme della Grecia “Gli sbarchi continuano rimpatri impossibili”
LESBO Il buongiorno si vede dal mattino. E il gommone blu apparso all’alba di ieri di fronte a Lesbo con il suo carico di 50 migranti partiti dalla Turchia ha confermato quello che tutti si immaginavano: firmare l’accordo tra Bruxelles e Ankara è stato difficile, tradurlo in pratica in tempi stretti sarà quasi impossibile. Gli arrivi sulle isole dell’Egeo continuano (oltre 1.200 nelle ultime 24 ore), malgrado dalla mezzanotte di ieri tutte le persone sbarcate siano destinate al rimpatrio. Atene ha già alzato bandiera bianca: «Per rendere operativo il piano servono più di 24 ore», ha ammesso Giorgos Kiritsis, portavoce del centro per l’emergenza dei migranti. La Grecia, messa in ginocchio da sei anni di crisi, ha di fronte un compito titanico. E i mezzi,non ci sono. «Mancano i traduttori. Non ci sono gli operatori e gli ispettori per registrare le richieste d’asilo. E nemmeno un piano su come e con che imbarcazioni si debbano rispedire i profughi verso le coste dell’Asia », dice Petros Georgiadis, uno dei (pochi) poliziotti che vegliano sull’ordine pubblico al Pireo, dove sono accampati in situazione caotica oltre 4mila persone.
Bruxelles ha promesso 300 milioni (180 stanziati nel 2015) e l’invio di 2.300 funzionari per affiancare il governo nella gestione della crisi. Ma non ne è arrivato nemmeno uno. In alto mare sono pure le procedure con cui l’esecutivo ellenico dovrebbe arruolare altri 1.700 effettivi da distaccare sul campo. Di più: prima di avviare i rimpatri devono essere approvate in Parlamento alcune misure per dare l’ok alle procedure accelerate. Il premier Alexis Tsipras resta fiducioso: «Ce la faremo e rispetteremo gli standard internazionali », ha ribadito in un incontro straordinario con i ministri. Sul terreno però è il caos. Ieri è iniziata la “deportazione” dei rifugiati bloccati negli hotspot sulle isole. Oltre 4.200 a Lesbo, 2.800 a Chios e più di mille a Lero. I traghetti partono stracarichi in direzione di Kavala o verso Atene, dove approdano sempre più spesso a Elefsina (vicina al campo di Schisto) per evitare di ingolfare ulteriormente la drammatica situazione al Pireo. L’obiettivo è liberare i centri per trasformarli in punti di detenzione dove nei prossimi giorni si esamineranno le richieste d’asilo di chi sbarcherà, per poi imbarcarlo di nuovo su un mezzo e rispedirlo in Turchia. Il processo per ora viaggia a scartamento ridotto. E Atene, dicono fonti del ministero dell’immigrazione, non sarà in grado di rimandare al mittente un singolo rifugiato almeno fino al 4 aprile. Specie se gli sbarchi — con buona pace dei pattugliamenti di Nato e navi turche — continueranno ai ritmi della ultime ore.
L’altro fronte caldo è quello dei 47mila migranti già bloccati sul suolo greco. «Quelli che accettano di imbarcarsi sui nostri bus per andare nei campi attrezzati sono pochissimi», racconta Iannis, autista di un pullman verde con le insegne cancellate che ieri ha fatto un solo viaggio dal Pireo a Volos con 43 persone a bordo («in programma ne avrei avuti tre»). I posti letto a disposizione sono meno di quelli necessari — 43mila a ieri — e i diretti interessati, dai 1.500 accampati nelle strutture fatiscenti dell’ex aeroporto di Atene fino ai 12mila di Idomeni, preferiscono attendere novità che non arriveranno mai. «La riapertura della frontiera », sintetizza Mohamed seduto sul jersey giallo all’ingresso E2 del porto, mentre l’ex star afgana Musavir Roshan (ora rifugiato) improvvisa un concerto sul molo per i compagni di sventura.La Grecia è in ritardo. Ma anche l’Europa non corre. Bisogna accelerare i ricollocamenti da Atene: l’obiettivo è farne 5.679 al mese, 20mila entro metà maggio. Peccato che dei 130mila promessi all’esecutivo ellenico sei mesi fa ne siano stati realizzati solo 937. E intanto, dal Camerun, il presidente Mattarella ha richiamato la Ue ai valori di solidarietà e accoglienza, perché diventino «sempre di più patrimonio della comunità internazionale».
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