La madre di Regeni: «Ho riconosciuto Giulio dal naso»

La madre di Regeni: «Ho riconosciuto Giulio dal naso»

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ROMA «Siamo qui per ricordare che persona fosse Giulio e per portare avanti i suoi valori». Si presentano così Paola e Claudio Regeni, in una conferenza stampa al Senato, accanto al presidente della commissione diritti umani, Luigi Manconi, all’avvocato Alessandra Ballerini e al portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury. Sono dure le loro accuse: «Forse è dal nazifascismo che non ci troviamo di fronte a un caso di torture simile». E dolci i ricordi: «L’ultima foto sua, fatta il 15 gennaio quando ha compiuto 28 anni era quella foto che ormai conoscete: sotto c’era un bel piatto di pesce». Ma è un’altra immagine che ora torna in mente: «Di un viso che era diventato piccolo piccolo, che abbiamo baciato e accarezzato. Forse l’unica cosa che io ho veramente riconosciuto come sua — dice la mamma — è stata la punta del suo naso».

Avete scelto di non mostrare quell’immagine di vostro figlio morto. Potreste usarla per arrivare alla verità?

Paola: «Se il 5 aprile (il giorno dell’arrivo in Italia dei funzionari egiziani, ndr ) sarà una giornata vuota confidiamo in una risposta forte del governo. Ma forte. Perché è dal 25 sera, da quando Giulio è scomparso che attendiamo risposte. Mi auguro di non doverla mostrare. Per lui».

Aveva dei timori prima di partire per Il Cairo?

Claudio: «No, Giulio era sereno. Anzi stava passando un periodo molto felice della sua vita. Vedeva finalmente un prospettiva di realizzazione dello studio, ma anche della sua vita personale. E già aspettava il 23 marzo: la conclusione della sua raccolta di informazioni per il suo dottorato. È partito tranquillo, sereno, contento».

È sparito il 25. A voi quando lo hanno comunicato?

Claudio: «La notizia l’ho ricevuta io il 27 gennaio alle 14.30. Mi ha telefonato la console. Mi ha detto che Giulio era scomparso. Ho atteso che arrivasse a casa Paola per darle la notizia».

Cosa vi aspettate se continueranno a non darvi risposte ma a farvi solo promesse?

Claudio: «Quanto espresso dal senatore Manconi ci sembra la risposta più corretta. Abbiamo fiducia nelle nostre istituzioni, purtroppo non abbiamo mai avuto la sensazione che il governo egiziano abbia avuto intenzione di collaborare veramente. Eppure sarebbe anche nell’interesse dell’Egitto chiudere velocemente questa vicenda».

Quale è stata la vostra reazione alla notizia che cinque persone accusate del suo omicidio erano state uccise?

Paola: «Ero in macchina che tornavo a casa. Mi hanno riferito che al Cairo avevano detto che c’era stata una sparatoria ed erano morte 5 persone. Sono andata a casa e ho detto a mio marito: “Magari ora mettono su questa sceneggiata e ci dicono che sono loro gli assassini di Giulio”».

Da mamma, come se ne fa una ragione?

Paola: «Nessuno ha tentato di dissuadermi dal cercare la verità. Anche se non abbiamo molto strepitato siamo una famiglia ferma. E chi ci conosce sa che diventiamo un carrarmato. Ma non me ne faccio una ragione. Da mamma ho sempre pianto anche ad ogni canzone romantica, commossa davanti a un bambino che faceva un disegno. Ora ho un blocco totale. Forse riuscirò a piangere quando capirò che cosa è successo a mio figlio. Io penso a quando lui avrà cercato in tutti i modi di far capire chi era. Avrà parlato in arabo, forse anche peggiorando la situazione, avrà parlato in inglese, in spagnolo, in francese, in friulano e forse anche in dialetto egiziano, e non è successo nulla. E me lo vedo con quei suoi occhi pensare: “Cosa sta succedendo?”. E poi, prima che comincino a dargli quei colpi, capire che una porta non si aprirà più. Aveva tutte le chiavi, culturali e storiche, per capirlo. E questa è la cosa che mi tormenta, notte e giorno».

Come fate a sapere per certo che non collaborasse con i servizi segreti?

Claudio: «Avevamo contatti sicuri, profondi, intimi, ci raccontava tutto: con chi aveva contatti. Nessuna informazione lasciava pensare a un lavoro sottobanco».

Paola: «Con un figlio via da 11 anni si sviluppa una relazione a distanza fortissima. Per chi conosce la cultura aborigena penso che, a livello di relazione viscerale, lo sapevamo».

Provate più dolore o rabbia?

Paola: «Ci sono momenti di rabbia forse più miei che di mio marito. E un gran dispiacere: quello di non avere più Giulio. Questo cambia la vita anche della sorella, dei nostri amici, del nostro Paese, perché lui poteva dare una mano al mondo. Però noi adesso stiamo parlando di torture e di Egitto e prima non se ne parlava».

Virginia Piccolillo



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