by MICHELE BOCCI, la Repubblica | 18 Marzo 2016 12:43
BISOGNA mettersi l’anima in pace e aspettare. Aspettare di prendere la linea al centro di prenotazione telefonico, se c’è, o aspettare che scorra la coda allo sportello. Va poi dato il tempo all’operatore di trovare una struttura disponibile a fare la visita o l’esame, sincerarsi che non sia troppo distante da casa e iniziare a fare i calcoli. «10 luglio 2016? Dunque… fa quasi 120 giorni. Non c’è niente prima? ». Molte volte no, se si tratta ad esempio di mammografie, che possono richiedere più di un anno, ma pure di visite oculistiche (anche 164 giorni) e ortopediche (189). Sempre che l’ospedale non abbia proprio chiuso le prenotazioni. Sono alcuni dei dati che abbiamo raccolto tra il 12 e il 15 marzo prenotando due visite e tre esami in tre strutture di dieci città. Il risultato? La sanità italiana non si libera delle liste di attesa. Tagli, organizzazione carente, macchinari utilizzati poco, impediscono alla risposta del servizio pubblico di stare dietro alla domanda. Che ci mette del suo a far allungare ancora di più le liste, tra richieste inappropriate e medicina difensiva. Se si aggiunge il ticket, talvolta molto alto, il gioco è fatto: tanti preferiscono i privati. Che sanno di essere appetibili e abbassano pure i prezzi. Loro, tanto, attese non ne hanno.
I RECORD
Come spesso in sanità, il sud è indietro ma ci sono difficoltà un po’ ovunque. Il record ce l’hanno le mammografie asintomatiche, cioè fuori dagli screening e neppure legate a sospetti diagnostici, che quando ci sono abbattono quasi ovunque le attese. Il tetto di 478 giorni del Cardarelli di Napoli è di poco superiore ai 441 delle Molinette di Torino. Ma vanno male anche Roma e Bari. L’esame è molto richiesto nelle zone dove gli screening per il cancro alla mammella sono poco diffusi. Altra prestazione a rischio è la risonanza alla colonna, cioè alla schiena. Per averla si possono aspettare 180 giorni al Civico di Palermo o 289 al Galliera di Genova. Ma anche attese più contenute possono causare disagi, come gli 87 giorni per un’ecografia all’addome al San Paolo di Milano. Anche al di fuori delle prestazioni che abbiamo scelto, ci sono problemi. Come i 330 giorni per una tac addominale a Lecce o 196 giorni per una eco ginecologica a Palermo. Cittadinanzattiva segnala attese per gli interventi: 306 giorni per operarsi alle tonsille agli Spedali Civili di Brescia e 2 anni per una day surgery proctologica al San Camillo di Roma.
ASL E POLICLINICI
Può succedere che nella stessa città ci siano attese molto diverse tra strutture. Di solito, quando ci sono Centri di prenotazione unici come in Emilia e Toscana, gli ambulatori della Asl sono in grado di rispondere rapidamente. Nei policlinici, e vale per tutta Italia, invece i tempi sono più lunghi. Questo avviene perché queste strutture lavorano soprattutto per pazienti in- terni, magari già operati, o persone che hanno già problemi. Gli altri aspettano.
LE AGENDE CHIUSE
La capitale spicca per una caratteristica: i tre ospedali presi in considerazione spesso non sono in grado di dare un appuntamento. È come aver a che fare con una super lista, che non concede nemmeno la possibilità di infuriarsi per i tempi ai cittadini, i quali sono costretti a ritelefonare per sapere se le agende sono state riaperte. I dati di Milano invece sono inaspettatamente alti. Le strutture cittadine infatti sono in grado di rispondere rapidamente a chi sulla ricetta ha indicata una priorità, perché il medico ritiene che l’esame vada fatto entro 72 ore o 10 giorni, ma hanno problemi con chi chiede un accertamento senza avere una patologia o senza che ci sia già un sospetto importante. Il sistema delle priorità è stato reso obbligatorio dal ministero alla Sanità che ha dato anche altri due classi di attese massime: 30/60 giorni per visite e accertamenti differibili e nessun limite per prestazioni programmate. È considerato uno degli strumenti chiave per risolvere il problema attese, in particolare per chi ha problemi seri e deve far presto, ma ancora non funziona ovunque. Il ministero con le Regioni è intervenuto anche sulle richieste inappropriate, con un criticato decreto che contiene una lista di oltre 200 esami che vengono passati dal sistema sanitario solo in certe condizioni cliniche.
QUANDO IL SISTEMA FUNZIONA
La regione che negli ultimi mesi è migliorata di più in fatto di liste di attesa è l’Emilia-Romagna. Appena eletto il governatore Stefano Bonacini ha chiesto di investire per risollevare il sistema. «Meno della metà delle prestazioni veniva erogata nei tempi richiesti dalle priorità, adesso siamo al 97% – dice l’assessore alla Sanità Sergio Venturi – Come abbiamo fatto? Abbiamo riorganizzato il settore nelle Asl e investito 10 milioni per assumere 150 professionisti nei settori che erano in difficoltà». Venturi risponde a chi dice che in sanità le liste di attesa sono comunque ingovernabili, ad esempio perché l’offerta genera la domanda. «È una posizione snob. Noi abbiamo investito, unificato i sistemi informativi delle aziende, detto ai direttori generali che vengono valutati in base a come vanno le liste, e disposto nei momenti di crisi aperture serali e al sabato e alla domenica. E le cose ora vanno bene»
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