by Antonio Sciotto, il manifesto | 12 Marzo 2016 9:22
No trivelle. Già raccolte 400 firme tra segreterie e camere del lavoro. Ma il sindacato rimane diviso al suo interno. Il «No» di Miceli (chimici) era stato attribuito a tutti. Fiom, Flc e Flai tra gli ambientalisti. Motivi pro e contro: «Si perderanno migliaia di posti», «Dobbiamo aprirci alle energie future»
Un appello con quattrocento firme[1] di quadri e dirigenti della Cgil per dire stop alle trivelle e votare Sì al referendum del 17 aprile. Tra loro due segretari generali di categoria – Stefania Crogi della Flai (agroindustria) e Domenico Pantaleo della Flc (scuola, università e ricerca) – ma sono tantissimi i segretari regionali e delle camere del lavoro, specialmente da Piemonte, Campania, Calabria, Puglia e Basilicata. Molte firme sono arrivate negli ultimi due giorni, dopo che il segretario dei chimici Filctem, Emilio Miceli, aveva invece sposato le ragioni del No: e soprattutto dopo che Repubblica, raccogliendo le sue ragioni, le aveva sintetizzate sotto un titolo fuorviante: «Trivelle, la Cgil contro il referendum».
Non tutta la Cgil è contro il referendum, e anzi Simona Fabiani, prima firmataria dell’appello, ritiene che il Sì sia assolutamente maggioritario nell’organizzazione: «Ovviamente è la mia opinione – ci spiega – ma raccogliendo in pochi giorni le firme con un giro di telefonate ho ricevuto solo due o tre no. Gli altri tutti sì, fortemente convinti. Sono chiaramente firme individuali, per non impegnare le proprie segreterie, ma danno l’idea di una tendenza. E siamo solo all’inizio: stiamo continuando a raccogliere adesioni, anche attraverso i social».
Fabiani assicura che la raccolta firme è iniziata prima dell’uscita pubblica (mercoledì) del segretario Filctem: «Abbiamo cominciato tra lunedì e martedì – spiega – e avremmo comunque fatto campagna per il Sì visto che finora la confederazione non aveva preso una posizione univoca». La sindacalista fa parte del Dipartimento Politiche per lo Sviluppo, e in particolare ha la delega su Azioni per il clima e i beni comuni. Ha partecipato alla recente Conferenza mondiale sul clima di Parigi, quindi parte da posizioni solidamente argomentate, come d’altronde sono quelle di Miceli, che da rappresentante dei chimici difende i posti di lavoro legati all’estrazione del petrolio.
La Cgil discuterà molto probabilmente la questione al Direttivo previsto il 21 marzo, dove questo tema non è all’ordine del giorno, ma potrebbe essere l’attualità a spingere perché alla fine sia inserito in palinsesto. E non è affatto detto che venga fuori una posizione univoca.
Tra l’altro, a fronte della presa di posizione di Miceli per il No, va ricordato che non solo Crogi (e praticamente tutta la segreteria Flai) e Pantaleo (Flc) hanno già detto che voteranno Sì, ma c’è addirittura una categoria – la Fiom guidata da Maurizio Landini – che ha scelto di entrare nel Comitato per il Sì. E tutte le segreterie della Basilicata (regione particolarmente coinvolta) hanno già esplicitamente sposato il Sì.
Il segretario Filctem ha posto l’esempio del distretto Eni di Ravenna, che occupa 500 lavoratori diretti e 6 mila nell’indotto. Ha spiegato che «già 900 sono in cassa integrazione», e che «non esistono al momento, né sono in fase di realizzazione, attività per energie alternative che possano assorbire gli esuberi». Quindi ha chiamato l’organizzazione a un bagno di realismo: «Se il referendum del 17 aprile avesse esito positivo, il rischio è di rimanere “tutti a casa”. Il mondo oggi, e per i prossimi decenni di sicuro, continuerà ad andare a gas e petrolio, ed è improponibile saltare a piè pari questa fase di transizione».
Posizioni diametralmente opposte da parte dei Quattrocento per il Sì: «L’esito del referendum – spiega Simona Fabiani – non toglierebbe lavoro a chi lo ha oggi, perché il quesito prevede che le concessioni già date entro le 12 miglia dovranno essere prorogate fino alla fine naturale del giacimento. È chiaro che riguarda i posti di lavoro futuri: ma rispetto a quelli dovremmo prendere atto che non ha senso accanirsi a perpetuare il fossile quando il mondo va in direzione contraria. Le transizioni verso le energie alternative possono essere accompagnate con i sostegni al reddito, la formazione e la riconversione, come si è sempre fatto con settori produttivi che andavano a esaurimento. Lo dobbiamo al nostro ambiente e al nostro futuro».
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