Bruxelles, “L’Europa è in guerra: cellule autonome pronte a colpire in tutti gli Stati”
“Colpire nel bel mezzo dell’aeroporto, con l’allerta anti-terrorismo al massimo, vuol dire che hanno capacità logistiche e penetrazione della società spaventose”, dice Fabio Merone, ancora scioccato dalla notizia degli attentati. Parla dal quartiere Nord di Anversa, culla dell’organizzazione jihadista “Shaaria4Belgium”, la più rilevante del paese. Dopo decenni di lavoro sull’Islam politico, dall’Orientale di Napoli alla Tunisia nel periodo della rivoluzione, lo studioso non ha dubbi: “è la risposta jihadista alla cattura di Salah Abdelsalaam, il messaggio ai servizi di sicurezza è chiaro: non ci fate paura, ci fate solo ridere!”
Il luogo e il tempo degli attentati hanno dunque una logica politica
“E’ indubbio, colpire l’aeroporto e la rotonda di Schuman, dove si affaccia il Palazzo del Berleymont, nonché la sede del Consiglio e il Servizio europeo per l’azione esterna, è un modo per far sentire tutta l’Europa vulnerabile dopo l’arresto di Salah. La dichiarazione di Schuman, “costruire l’Europa per rendere la guerra non solo impensabile, ma anche praticamente impossibile”, sembra volatilizzarsi nel fumo che sale dalla stazione della metropolitana intitolata al politico francese: l’Europa è in guerra. E’ la dimensione europea della città che l’ha resa bersaglio, sul piano geopolitico il Belgio è un paese del tutto irrilevante. Nelle settimane precedenti agli attacchi del Bataclan erano stati colpiti i principali attori internazionali che si erano immischiati nella guerra in Siria: la Russia, con l’aereo abbattuto nel Sinai, Hezbollah, fondamentale braccio armato di Assad che era stato colpito con un grosso attentato nella periferia sud di Beirut, e infine la Francia. Oggi invece viene messa a ferro e fuoco Bruxelles, presa di mira nei luoghi di transito internazionale più rilevanti, dopo la caccia all’uomo di Molenbeek che l’ha vista protagonista. E dentro all’aeroporto, guarda caso, l’esplosione avviene proprio vicino al gate della compagnia americana, un altro bersaglio simbolico. Rassegniamoci, c’è una logica di botta e risposta nel modo in cui ci attaccano”.
Come è stato vissuto l’arresto di Salah Abdelsalaam nei quartieri sospettati di ospitare cellule jihadiste in Belgio, e come stanno prendendo in queste ore gli attentati?
“Io parlo molto con la gente per il mio lavoro di ricerca, e nelle ore dell’assedio alla casa di Salah a Molenbeek percepivo una forte frustrazione. In molti si chiedevano se fosse davvero responsabile, e numerosi dubitavano sulle sue chances di avere un processo giusto, non viziato dalle circostanze tragiche e dalla rabbia francese. Oggi qualcuno cita gli attentati del luglio 2012 in Norvegia, quando la stampa internazionale si affrettò a dare per certa la matrice islamista laddove invece l’attentatore era Breivik – temo che le verifiche gli daranno presto torto. In generale in quartieri come Molenbeek e Schaarbeek a Bruxelles, o in alcune zone qui ad Anversa, si percepisce al massimo la sofferenza del multiculturalismo europeo. Non stupisce che giovani di origine araba ma cresciuti qui vivano una crisi d’identità, che spesso è aggravata dal disagio sociale, e finiscano per identificarsi con l’idea transnazionale della umma islamica. Il numero di foreign fighters belga continua a salire, consolidando il primato Ue del Belgio nel rapporto tra foreign fighters e numero di abitanti. Sarebbero ormai circa 450, al netto di quelli rientrati fra cui l’attentatore del Museo Ebraico di Bruxelles che era stato almeno un anno in Siria. E in questo l’elemento sociale è forte”.
Si può provare ad ipotizzare da quanto in alto arrivi l’ordine di realizzare questi attentati?
“No, questo è un lavoro che spetta ai servizi di sicurezza, e che a quanto pare non sanno fare molto bene. Dopo una caccia all’uomo durata addirittura quattro mesi, ecco che nei giorni di massima allerta si fanno colpire nei punti più sensibili della città. Certo, questo dimostra che la rete organizzativa e protettiva dei terroristi è di tutto rispetto, ma anche che dalla parte dello stato c’è qualcosa che non va. Quello che si può fare è ragionare sui collegamenti fra Isis e le sue emanazioni europee ed occidentali. Bisogna concepirli come un franchising, dove esiste una coordinamento centralizzato – in questo caso lo Stato Islamico – ma anche una flessibilità data dalla mancanza di una struttura operativa gerarchizzata. La presenza si Salah Abdelsalaam ben protetto a Bruxelles, e anche il tempismo di questi attacchi, fanno pensare che ci siano cellule operative più o meno autonome pronte a colpire in tutta Europa”.
Tutte però che fanno riferimento a gruppi armati attivi in un Medio Oriente sempre più sfigurato…
“Esatto, e qui si inserisce l’ultimo elemento, la tregua siriana. L’accordo su un cessate il fuoco in Siria ha causato una polarizzazione fra i movimenti jihadisti non alleati dell’Isis che, come per esempio Jhabat Al Nusra, non sono nemmeno accettati al tavolo delle trattative in quanto movimenti terroristi. Queste formazioni si sono improvvisamente trovate fra l’incudine e il martello. Secondo Al Jazeera l’esercito siriano libero ha acquisito rinnovata popolarità dopo i negoziati, facendo propendere le frange più moderate di questi movimenti taqfiristi ma non filo-Isis verso una moderazione che li avvicinasse alle trattative. Ecco che allora i più intransigenti vogliono dimostrare che nulla è cambiato – né l’opposizione all’Isis né l’indisponibilità a trattare. Va attribuita a loro l’ultima ondata di violenza in Siria, e si potrebbe anche ipotizzare che da loro arrivi l’ordine di colpire Bruxelles, visto che l’Unione europea ha giocato un ruolo importante nei negoziati”.
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