by Giuseppe Acconcia, il manifesto | 31 Marzo 2016 10:32
Se la strada che da Bayda porta a Tripoli è stata sbarrata nei tanti tentativi falliti del generale Khalifa Haftar di mettere le mani sulla capitale libica, ieri è riuscito a sbarcare in Tripolitania il premier designato, Fayyez al-Serraj. Il governo tripolino a maggioranza della Fratellanza musulmana di Khalifa al-Gweil aveva dichiarato lo stato di emergenza nei giorni scorsi, in seguito alla notizia che quattro componenti del governo di Accordo nazionale (Gna) avevano in programma una visita lampo a Tripoli per preparare la strada all’insediamento dell’esecutivo, frutto degli accordi di Skhirat, lo scorso 17 dicembre in Marocco.
Dopo mesi di rinvii e nulla di fatto, anche ieri nessuno avrebbe voluto che al-Serraj arrivasse in Libia. Le autorità di Tripoli, appoggiate dal cartello Fajr (Alba) che include i miliziani di Misurata, hanno disposto un apparato di sicurezza e check-point per prevenire l’ingresso del controverso governo di unità nazionale. L’esecutivo, nato dalla mediazione degli inviati delle Nazioni unite, Bernardino Leon e Martin Kobler, che non ha ottenuto l’approvazione dei due parlamenti libici, ha auto-proclamato la sua legittimità lo scorso 13 marzo. Allo stesso Kobler è stato più volte rifiutato l’ingresso a Tripoli. E così il velivolo su cui era a bordo Kobler non ha potuto atterrare nella capitale libica.
Così come il debole governo di Tobruk è stato ormeggiato su un cargo al largo della Cirenaica per mesi, il Gna è sbarcato a Tripoli via mare, nella base militare navale Abu Seta. I 32 membri dell’esecutivo, in rappresentanza di fazioni e tribù libiche, erano partiti poche ore prima a bordo di navi e gommoni dal porto di Tunisi, il confine tra i due paesi resta poroso al passaggio dei miliziani dello Stato islamico (Isis). Il colonnello Abdel Rahman al-Tawil ha confermato le difficoltà incontrare da Serraj nel suo insediamento a Tripoli. In particolare, il presidente del Congresso nazionale generale (Cng), Nuri Abu Sahimin, avrebbe impedito fino all’ultimo minuto l’ingresso di Serraj. L’arrivo del premier del Gnc era previsto per la mattina di ieri nell’aeroporto di Mitiga, dove sono state avvertite varie esplosioni causate da colpi di artiglieria anti-aerea dei miliziani Fajr.
Prima dell’insediamento, Ali al-Qatarani e Omar al-Aswad, rappresentanti della «città-stato» di Brega, non lontano da Bengasi, si erano auto-sospesi. Già due settimane fa, il premier di Tripoli, Khalifa al-Gweil, ha proceduto con l’arresto di tre membri del comitato di Sicurezza (Tsc), tra i 18 incaricati di procedere con la formazione del governo di unità nazionale, in seguito rilasciati. Gweil aveva tuonato contro qualsiasi esponente del Tsc che mettesse piede in Tripolitania. Serraj ha subito dichiarato di voler iniziare a lavorare per «unire i libici e ridurre le sofferenze del popolo». Sono tre gli esecutivi libici: uno con sede a Tripoli, appoggiato da Turchia e Qatar, il secondo con sede a Tobruk, sostenuto dall’Egitto di al-Sisi, il terzo, frutto dei negoziati avviati dalle Nazioni unite.
Il primo punto in agenda per il Cng sarà la sicurezza dei suoi uffici e dei suoi membri. In assenza di un’affidabile guardia governativa, dovrebbero essere i miliziani delle brigate 14 e 23 ad occuparsi della sua sicurezza. Sia l’esercito di Tripoli sia i militari pro-Haftar non hanno mostrato nessuna intenzione di appoggiare il governo filo-occidentale di al-Serraj. Anche il premier di Tobruk, Abdullah al-Thinni, ha criticato i metodi con cui l’esecutivo di al-Serraj si è insediato senza passare per un voto di fiducia di Tobruk.
L’esecutivo di unità nazionale parte in salita con poche speranze di concretizzare un difficile percorso di riconciliazione tra gli islamisti moderati di Tripoli e i militari della Cirenaica. Il suo insediamento potrebbe accelerare i piani Usa e Ue di attaccare la Libia dopo una probabile richiesta ufficiale avanzata dal nuovo esecutivo. Pochi giorni fa, il Pentagono aveva messo nero su bianco il piano Usa per attaccare la Libia. Sarebbero tra i 30 e i 40 gli obiettivi in quattro aree del paese per poi lasciare il lavoro sul campo nelle mani delle milizie filo-Usa che cercano da mesi di accreditarsi come baluardo anti-Isis.
Il Segretario alla Difesa, Ashton Carter, ne ha discusso con i consiglieri alla sicurezza del presidente Barack Obama, lo scorso 22 febbraio, tre giorni dopo i raid Usa contro le postazioni di Isis a Sabratha. Gli Stati uniti avevano già esercitato pressioni sul governo italiano, per bocca dell’ambasciatore a Roma, John Philips, dopo le dichiarazioni del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, sul possibile invio di 5 mila uomini in Libia, per un impegno italiano rafforzato sul campo.
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