Sfrattopoli, la capitale d’Italia
Roma detiene sempre il primo posto, con oltre 10mila richieste, più di 8mila disposizioni emesse e quasi 3mila eseguite. I dati e gli allarmi che da troppo tempo giacciono sui tavoli della politica italiana
Uno sfratto ogni 300 famiglie, in Italia, 100 sfratti al giorno.
Lo scorso 5 gennaio, mentre tenevano banco le parole del presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano sulla riforma del sistema previdenziale, il ministero dell’Interno rendeva noti i dati relativi agli sfratti nell’anno 2014 («Gli sfratti in Italia. Andamento delle procedure di rilascio di immobili ad uso abitativo»). Si tratta di numeri che hanno destato un forte allarme non solo per l’enorme fetta di popolazione che ne è interessata, ma perché si tratta di un trend confermato anche nei mesi del 2015, in crescita costante del 5-7% secondo le associazioni e i sindacati di categoria.
Se le famiglie italiane in condizione di disagio abitativo sono oltre 2 milioni (fonte Nomisma), gli sfratti sono la principale componente del dramma sociale dell’emergenza abitativa. I provvedimenti emessi nel periodo 2005-2014 sono cresciuti del 69%, mentre quelli effettivamente eseguiti sono aumentati del 41%. Quando si parla di sfratti in Italia, dunque, si parla di una vera e propria piaga sociale. Sono 150mila le richieste di esecuzione e oltre 77mila i provvedimenti di sfratto emessi tramite l’Ufficiale giudiziario nel 2014 (+5.3% dal 2013 e +47.8% dal 2008): un’operazione immensa che ha significato quasi 100 sfratti al giorno in Italia, uno ogni 334 famiglie, per un totale di oltre 36mila nuclei familiari che ne hanno subito le conseguenze. Se fino a pochi decenni fa la piaga dell’emergenza abitativa sembrava essere un fenomeno direttamente ed esclusivamente riconducibile alle metropoli e ai grandi agglomerati urbani, le accelerazioni economiche e sociali dell’ultimo decennio hanno radicalmente stravolto questo impianto di ragionamento.
In un Paese che è stato caratterizzato da importanti flussi migratori nelle province dove la piccola e media impresa ha fatto registrare un’impennata della domanda di manodopera, le conseguenze della crisi economica esplosa nel 2008 si sono fatte sentire con prepotenza sul versante abitativo. Eccezion fatta per Roma e provincia, maglia nera d’Italia con oltre 10mila richieste, più di 8mila provvedimenti emessi e quasi 3mila sfratti eseguiti, le province che hanno registrato i valori assoluti più alti sono quelle intorno a cui si è costruito l’asse industriale del Belpaese: da Torino (quasi 5mila richieste) a Padova (dove si sono eseguiti il 50% dei mille richiesti), passando per Milano (oltre 23mila richieste), Brescia, Varese, Pavia, Novara, fino ai 1934 provvedimenti emessi e ai 1090 sfratti eseguiti tra le province di Vicenza e Verona, dove risiedono poco più di 1,5 milioni di persone. L’equazione è pressoché fatta: se la crisi ha significato disoccupazione, il primo riflesso di questa precarietà è stata l’impossibilità di mantenere un tetto sopra la testa.
L’isola dei morosi
A conferma di questo assunto, infatti, ci sono i tristi numeri relativi alla morosità, prima e decisiva causa di sfratto (89.3%). Si tratta di una piaga talmente ampia che per fronteggiarla era stato creato (dl 102/2013) anche un apposito fondo di sostegno, il Fondo Inquilini Morosi Incolpevoli, con una dotazione iniziale di 20 milioni per gli anni 2014 e 2015. Successivamente, il Piano Casa lo ha incrementato di appena 15,73 milioni per il 2014 e di 12,73 per il 2015, giungendo quindi a un totale di 68,4 milioni di risorse statali. Come ebbe modo di spiegare in aula Umberto De Caro (Sottosegretario alle Infrastrutture dell’attuale governo) lo scorso settembre, «su un totale di 83,39 milioni di euro disponibili (compresi i 68,4 mln statali, ndr), le risorse assegnate dalle regioni si attestano a 23,49 milioni, mentre quelle effettivamente trasferite (ai Comuni, ndr) sono pari a poco più di 12 milioni». Solo 12 mln, dunque, effettivamente trasferiti dalle Regioni, attraverso cui sono stati rinnovati 204 contratti, 78 ne sono stati sottoscritti ex novo a canone concordato, 38 rinegoziati a un canone inferiore, oltre ad aver differito l’esecuzione di 501 provvedimenti di rilascio e assegnato 31 alloggi ERP. Una goccia nell’oceano dell’emergenza abitativa. È vero, infatti, che i canoni liberi sono scesi del 12% nell’ultimo quinquennio, ma secondo i dati Nomisma la maggior parte delle 4,4 milioni di famiglie in affitto (con entrate nette comprese tra i 1200-1500 euro mensili) dichiara un’incidenza del canone d’affitto sul reddito superiore alla soglia di sostenibilità del 30%. Nonostante la recente crisi del mattone racconti che tra chi cerca un alloggio il 60% opta per l’affitto (viste le difficoltà di accesso ai mutui), il rischio morosità resta elevato e l’emergenza abitativa è lungi dall’essere tamponata con fermezza.
Si tratta comunque di dati e allarmi che già da tempo giacciono sui tavoli della politica italiana. Lo scorso novembre era stato l’Istat a bussare a Montecitorio, con una documentazione consegnata in Parlamento in occasione delle audizioni sulla legge di stabilità. Dai dati emersi, risultava che le famiglie italiane “in difficoltà” con il pagamento delle spese per la casa sono circa 3 milioni, l’11.7% del totale. In particolare, tra le famiglie in affitto il 16.9% si è trovata in arretrato con il pagamento delle mensilità, mentre il 6.3% delle famiglie con il mutuo si è trovato in arretrato con la rata. L’esposizione delle famiglie al ritardo nei pagamenti delle spese per la casa, evidenziavano i tecnici dell’Istat, «si associa nettamente all’onerosità delle spese stesse e, in particolare, alla loro incidenza sul reddito disponibile». Infatti, le categorie di famiglie maggiormente interessate dal problema sono quelle della fascia di reddito più bassa (il 29.2%, pari a 1,5 milioni di famiglie, è in arretrato con le spese per la casa) e, più in generale, quelle in affitto (27.6%, 1,32 milioni) o quelle gravate da un mutuo per la casa (14.8%, 561mila).
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