Sotto inchiesta il cda di Banca Etruria C’è anche il padre del ministro Boschi

by Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera | 20 Marzo 2016 17:44

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ROMA Stipendi e buonuscite elargite in maniera illecita che hanno contribuito al dissesto di Banca Etruria. Per questo il consiglio di amministrazione guidato da Lorenzo Rosi e dai suoi vice Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena, è sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta. L’indagine avviata dalla Procura di Arezzo arriva dunque alla svolta. Dopo le nuove sanzioni erogate da Bankitalia per un totale di due milioni e duecentomila euro (Rosi e Boschi rispondono ciascuno per 130 mila euro), i pubblici ministeri guidati dal procuratore Roberto Rossi si concentrano sulle operazioni che hanno svuotato le casse dell’Istituto di credito causandone il fallimento.

Un milione di euroLa delega alla Guardia di Finanza sollecita nuovi accertamenti sulla delibera approvata nel corso della riunione del cda del 30 giugno 2014 che chiudeva il rapporto con il direttore generale Luca Bronchi, concedendogli un indennizzo da un milione e 200 mila euro. L’obiettivo è evidente: ottenere il sequestro della somma elargita al manager, che è accusato di concorso nello stesso reato contestato agli amministratori. Il nodo della questione è nel punto 6 delle contestazioni degli ispettori di Palazzo Koch che nel febbraio 2015 hanno portato al commissariamento. Scrivono i funzionari: «L’accordo per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con l’ex direttore generale Luca Bronchi, che aveva ricoperto la carica da luglio 2008, non è risultato in linea con le disposizioni in materia di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione, vigenti all’epoca dei fatti, che prevedevano, in caso di risoluzione anticipata del rapporto, il collegamento dei compensi alla performance realizzata e ai rischi assunti».

Accordo vietatoEd ecco la parte che ha portato alla formalizzazione dell’accusa: «Il consiglio di amministrazione del 30 giugno 2014 ha approvato detto accordo — corresponsione al dottor Bronchi di un indennizzo di un milione e duecentomila euro — nonostante il grave deterioramento della situazione tecnica della banca e non ha vagliato l’ipotesi di contestare al dirigente responsabilità specifiche. L’Organo, infine, non ha tenuto conto del “documento sulle politiche di remunerazione e incentivazione” approvato dall’Assemblea dei soci di Banca Etruria nel maggio 2014 che non consentiva la corresponsione di alcuna forma di incentivazione al “personale più rilevante”».

L’accusa dei funzionari di Bankitalia viene fatta propria dalla Procura che ha chiesto ai finanzieri del Tributario di esaminare il verbale di quell’assemblea per verificare eventuali dissensi. Risulta infatti dai controlli già svolti che sul trattamento da riservare al direttore generale ci fu consenso unanime, ma si è deciso comunque di accertare se in sede di discussione qualcuno abbia preso una diversa posizione.

Sequestro equivalenteDopo la dichiarazione di insolvenza pronunciata dal Tribunale di Arezzo che ha accolto le tesi del commissario liquidatore Giuseppe Santoni, era scontato che l’indagine mettesse sotto osservazione tutte le operazioni che avevano favorito alcuni manager penalizzando azionisti e risparmiatori.

Per questo, oltre alle contestazioni formali, i magistrati hanno deciso di procedere per ottenere il rientro della somma elargita con provvedimenti che portino al sequestro dei beni per l’equivalente della somma incassata da Bronchi. È il primo passo, altri ne seguiranno visto che tra le varie deleghe alla Guardia di Finanza c’è pure l’analisi di tutti gli esborsi autorizzati dal cda, comprese le consulenze per milioni di euro che il consiglio guidato da Rosi ha assegnato anche quando appariva evidente che fossero inutili o addirittura illegali visto che riguardavano mansioni già svolte da funzionari e dipendenti.

Fiorenza Sarzanini

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