La guerra delle impronte

La guerra delle impronte

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Angelino Alfano, appena risalito sul palcoscenico del centrodestra in un nuovo ipotetico abbraccio pre-elettorale con Berlusconi, ha pensato bene di sfruttare le luci del vertice di Bruxelles per anticipare un provvedimento del governo che preveda l’uso della forza per procedere al rilevamento delle impronte digitali in caso di migranti recalcitranti. L’annuncio però è servito solamente a scatenare un alveare di commenti critici non solo dalle associazioni che si occupano dei rifugiati, dalla Caritas al centro Astalli, ma soprattutto dai sindacati di polizia.

Il ministro dell’Interno, prima di partire per il summit europeo, ha diffuso una comunicazione del suo dipartimento della pubblica sicurezza in cui si annunciava una norma da inserire nel disegno di legge sull’asilo e gli hot spot che il governo vorrebbe adottare quanto prima. Il provvedimento mira – si dice – a «disciplinare il soccorso, la prima assistenza, l’identificazione nonchè il rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche forzoso, dei migranti».

Ieri mattina intervenendo a Radio Anch’io, Alfano, è tornato sull’argomento ammettendo che oltre l’85 % dei migranti che sbarcano in Italia sono identificati e registrati. «Abbiamo le impronte digitali praticamente al cento per cento», ha addirittura precisato. E però ha confermato l’idea di inserire in un prossimo ddl la possibilità di prelievo forzoso delle impronte dal momento che «la Cassazione dice che un uso della forza è possibile e si tratterebbe di scrivere una norma che senza affidarci alle interpretazioni dei giudici tuteli tutti».

I poliziotti però non si sentono affatto più tutelati. Il rilevamento coatto delle impronte agli immigrati che sbarcano in Italia «non è proprio possibile», fa notare Daniele Tissone, segretario del Silp Cgil, perché «non siamo in presenza di criminali ma di persone che scappano da situazioni di difficoltà». E non è neanche auspicabile, al contrario, come segnala Felice Romano, segretario del Siulp, sul quotidiano dei vescovi l’Avvenire, definendo l’uscita di Alfano nient’altro che «una boutade», «che, oltre a non aiutare le forze di polizia, espone i suoi appartenenti, oltre al carico di lavoro, anche a responsabilità penali ed esistenziali». «L’utilizzo delle forza su chi scappa dalla violenza della guerra – spiega – è la peggiore risposta che si può dare ad un profugo, ma è anche la trappola più diabolica alla quale si vuole esporre il personale delle forze di polizia, in quanto la responsabilità penale, nel nostro Paese è e resta personale e non di chi fa le leggi che poi non possono essere attuate». Il collega della Cgil precisa che una norma simile sarebbe anticostituzionale e oltretutto anche discriminaroria se riguardasse solo «i cittadini extracomunitari all’interno all’interno dei centri d’identificazione».

Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ieri si è limitato a dichiarare che «parlare di uso della forza può essere fuorviante». E che «noi chiediamo collaborazione a chi fa domanda di per ottenere lo status di rifugiato, in funzione del riconoscimento di un diritto. È evidente che questo deve realizzarsi nel rispetto dei diritti dell’uomo e con le garanzie del controllo dell’autorità giudiziaria», una frase che assomiglia a una presa di distanza da Alfano.

Il problema di migranti che si oppongono all’identificazione in Italia – lo segnalano anche i sindacati degli agenti – sono le regole della convenzione di Dublino in base alle quali il paese dove si viene identificati è anche quello dove si deve chiedere l’asilo. Gli eritrei, che come e più dei siriani sulla rotta balcanica sanno di aver diritto all’asilo e vogliono arrivare in Nord Europa, spesso in Italia fanno resistenza. Ma finché è solo passiva possono al massimo essere fermati per 24 ore, come si può verificare dalla scheda sul sito dei giuristi dell’Asgi.



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