«Anomalia italiana»: le vittime raccontano gli abusi in divisa

«Anomalia italiana»: le vittime raccontano gli abusi in divisa

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BRUXELLES La delegazione dei parenti delle vittime al parlamento europeo ha consegnato ieri un dossier sull’«Anomalia Italia».
Il plico finito sui tavoli di Bruxelles contiene le storie delle vittime degli abusi in divisa, vicende di un paese che scopre di avere «un problema» con le sue forze dell’ordine, e presenta alcune tracce d’analisi che meritano attenzione. Il primo indizio è quella legge sul reato di tortura che continua a mancare nonostante i richiami internazionali e le grida di allarme di giuristi.

«Nel nostro paese c’è una resistenza incredibile all’istituzione di un reato specifico del pubblico ufficiale», si legge nel documento. In barba a convenzioni Onu, condanne della Corte per i diritti dell’uomo e richieste di risarcimenti, la Camera ha approvato una versione monca del provvedimento sulla tortura, che non parla di torture psichiche e non individua le forze dell’ordine come destinatarie del reato specifico. Quel testo giace al Senato, nonostante le promesse di Matteo Renzi all’indomani dei pronunciamenti europei sui fatti del G8 di Genova.
Tra gli elementi fondanti di questa «anomalia italiana», il dossier enuclea poi il paradosso di «un paese che, a fronte di una diminuzione generalizzata dei reati di microcriminalità, ha dovuto registrare la costruzione mediatica e politica dell’”emergenza sicurezza” funzionale alla costruzione della guerra dei penultimi contro gli ultimi».

Tra le carte consegnate a Bruxelles, figura anche l’interessante studio sulla formazione delle forze dell’ordine ad opera di Charlie Barnao e Pietro Saitta.

Lo studio parte da un’analisi etnografica degli addestramenti nella Folgore per risalire ai cambiamenti della gestione dell’ordine pubblico negli ultimi venti anni. Ci sarebbe, nelle forze dell’ordine italiane, una sorta di doppio codice dettato dalla militarizzazione dei corpi e dal disinvestimento in formazione.

Da quando è stato varato il «nuovo modello di difesa», sostengono i ricercatori, la maggior parte dei posti disponibili nelle forze di polizia sono riservati ai reduci, ai veterani della guerra globale. Li abbiamo visti passare dalla Somalia a Genova, dal deserto a via Tolemaide.

Questa tendenziale zona grigia, vero e proprio esercito urbano, o polizia globale che dir si voglia, produrrebbe una specie di «mutazione genetica» presso le forze di polizia: i corpi che tempo fa vennero creati proprio per impedire che fosse l’esercito a dirimere le questioni interne divengono adesso armate militaresche e incapaci di dialogo e comprensione dei meccanismi sociali.
Questa mutazione è emblematicamente rappresentata nel lungo applauso con tanto di standing ovation che la platea congressuale di uno dei più rappresentativi sindacati di polizia, vale a dire il Sap, riservò ai quattro agenti condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi. I pubblici ministeri che formularono l’accusa nei processi per le violenze e i sequestri di persona commessi dai poliziotti contro i manifestanti in occasione del Global forum di Napoli, nel 2001, ebbero a dire: «Se gli indagati non avranno remore a usare così gravi violenze nei confronti di giornalisti, avvocati, studenti comunque capaci per posizione e cultura di una qualche reazione, si pensi a quale comportamento potrebbero tenere gli indagati nei confronti di persone di fasce sociali più deboli». Dentro l’«anomalia Italia» che ieri è stata esposta a Bruxelles c’è anche questo, oltre che la preoccupante repressione del dissenso: c’è la guerra ai poveri che incede silenziosa e che solo raramente incontra il coraggio di chi denuncia. «Per noi questo non è né un punto di arrivo né una partenza, è una parte di un percorso che ha un obiettivo: fare in modo che una associazione che si occupa di abusi in divisa debba sciogliersi per mancanza di casi da affrontare», hanno detto quelli di Acad.

Dal canto suo, Eleonora Forenza ha prospettato che il dossier diventi la base per una oral question e che ponga le fondamenta per una procedura d’infrazione. «L’Italia è al secondo posto, dopo l’Ungheria, tra i paesi dell’Unione europea, quanto a ricorsi presso la Corte dei diritti dell’uomo, anche questo è un pezzo di quell’anomalia», dice Forenza.



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