Florida per Clinton Trump batte Rubio che getta la spugna “No alla paura”
MIAMI Nel Supermartedì decisivo delle primarie per la corsa alla Casa Bianca, Donald Trump e Hillary Clinton hanno trionfato in Florida, North Carolina, e secondo le prime proiezioni erano in vantaggio anche negli altri due Stati. Unica eccezione, fra i repubblicani, l’Ohio che è stato assegnato al suo governatore John Kasich. La gara a destra si è ridotta a soli tre candidati. Infatti dopo aver subito una umiliante débacle a casa propria, il senatore della Florida Marco Rubio si è ritirato. Nell’annunciarlo ha lanciato un ultimo attacco allo “tsunami Trump” e ha invitato gli elettori repubblicani “a non seguire gli slogan della paura”. Tra i repubblicani il vantaggio di Trump sta diventando quasi incolmabile. Kasich rimane l’unico candidato moderato. Ted Cruz è l’unico che ha un discreto bottino di delegati, ma su posizioni ancora più a destra di Trump. L’ultima speranza per questi due è fermare Trump sotto il 50,1% e quindi arrivare a luglio ad una convention “aperta”. Nella quale i delegati avrebbero libertà di sciogliersi dal mandato degli elettori. Ma si tratta di uno scenario estremo, che verrebbe vissuto dalla base come un golpe dell’establishment. Colpisce invece la tenuta di Trump anche al termine di una settimana che poteva essergli dannosa, per le ripetute violenze ai suoi comizi, e le accuse di chi lo ha denunciato come il sobillatore di un clima d’intolleranza.
Per Hillary Clinton «è ora di concentrarci sulla pericolosa ascesa di Donald Trump». Il Supermartedì rilancia l’allarme attorno al tycoon newyorchese. Scende in campo anche Barack Obama. È raro che un presidente si pronunci così presto in una campagna elettorale. Obama ha scelto un pranzo al Campidoglio di Washington che riunisce i leader del Congresso, democratici e repubblicani. Il fenomeno Trump lo spinge a uscire dalla riserva. Obama condanna «chi attacca le donne e le minoranze etniche, demonizza chi non prega o non vota come noi». Il presidente riprende un allarme che era stato lanciato dalla Clinton — la quale aveva citato Matteo Renzi fra i leader stranieri preoccupati dell’ascesa di Trump — e conferma che gli insulti agli immigrati «macchiano la reputazione dell’America nel mondo». Dopo una settimana segnata da scontri nei comizi di Trump, nonché le frasi “incendiarie” dello stesso tycoon, Obama avverte: «Il tono di questa campagna può allontanare una generazione di giovani; non dovremmo essere costretti a spiegargli il lato oscuro della politica». Poi c’è un invito rivolto a tutte le parti: «Abbiamo dei doveri e delle responsabilità per cambiare questa atmosfera. Possiamo accettare questa gara verso il basso, lasciare che le cose vadano sempre peggio, o rigettare questi comportamenti». La sera prima, in un contesto più rilassato, Obama aveva sfoderato l’ironia. Poiché nei raduni elettorali il magnate immobiliare newyorchese spesso fa del “merchandising”, vende prodotti col proprio marchio, Obama lo aveva irriso sulla vendita del vino Trump: «È un vino da cinque dollari, lui ci schiaffa sopra un’etichetta, e poi lo vende a 50 dollari ». Una metafora per dire ciò che è Trump.
La Clinton è preoccupata di avere sottovalutato il tycoon newyorchese, che peraltro in una precedente stagione politica era stato un suo finanziatore. L’ex segretario di Stato è costretta a continuare la sua sfida con Bernie Sanders, in una stagione delle primarie più lunga e più contesa di quanto lei avesse previsto all’inizio. Sanders ha l’intenzione di rimanere in lizza fino alla fine. Ha poche probabilità di vincere una maggioranza assoluta dei delegati, visto il vantaggio della Clinton negli Stati del Sud che si è confermato insormontabile in questo Supermartedì. Ma poiché l’assegnazione dei delegati in campo democratico avviene su base proporzionale, Sanders comunque ne ha un numero ragguardevole. Vuole arrivare fino alla convention di Philadelphia, a metà luglio, per continuare fino alla fine a far pesare “il popolo di sinistra” e condizionare così il programma della Clinton. Quello che spaventa Hillary è il rischio di non concentrare abbastanza gli attacchi su Trump.
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