Alternative für Deutschland, un movimento populista anti-migranti tutto nuovo
Per la Germania è una prima volta. Mai, perlomeno dall’immediato dopoguerra, a “destra della destra” era sorta una tale minaccia. Nemmeno nella stagione di risveglio patriottico che fece seguito alla riunificazione del paese, i Republikaner dell’ex stella della tv Franz Schönhuber, o la Deutsche Volksunion del potente editore di memoriabilia bellica Gerhard Frey avevano potuto sperare in un tale successo. Per non parlare della Npd, il più longevo partito neonazista della Repubblica federale, capace di garantire un inquietante ombrello legale alle bande violente che scorrazzano specie nelle regioni orientali del paese, ma non di costituire un altrettanto significativo pericolo nelle urne.
A soli tre anni dalla sua fondazione, e dopo una torsione dalle iniziali campagne euroscettiche a una linea risolutamente anti-immigrati, i numeri e l’ampiezza dell’affermazione registrata dall’Alternative für Deutschland rappresentano una novità assoluta per il panorama politico locale. E questo a un anno esatto dalle prossime elezioni politiche generali. La lunga “eccezione” tedesca sembra essere già stata superata dai fatti: anche qui come nel resto d’Europa, la nuova destra populista e xenofoba appare destinata a mettere radici, utilizzando il passe-partout del rigetto degli stranieri per catalizzare ogni sorta di malessere sociale o di inquietudine identitaria.
Ma la crescita spettacolare dell’Alternativa per la Germania, partito-movimento la cui struttura e perfino le cui linee programmatiche seguono e non precedono l’exploit elettorale, nei prossimi mesi un congresso dovrebbe definirne organigramma e statuto, testimonia anche di un altro processo che è in atto in Europa.
Per quanto l’AfD, che era sorto con il plauso di settori del mondo imprenditoriale tedesco e grazie a più d’un transfuga della stessa Cdu, proceda, specie ad est, talvolta in aperta sinergia con i razzisti anti-musulmani di Pegida o grazie a un personale politico, come il leader regionale della Turingia, Björn Höcke, notoriamente vicino agli ambienti del radicalismo nero – la stessa giovane leader Frauke Petry proviene da Dresda, città divenuta negli ultimi quindici anni l’epicentro della nuova cultura nazionalista tedesca -, l’immagine prevalente del partito è più simile a quella dei movimenti populisti che non alla vecchia estrema destra.
Forse non a caso i rappresentanti dell’AfD eletti nel parlamento europeo nel 2014 hanno integrato quel gruppo dei Conservatori e riformisti europei, guidato dal leader dei conservatori britannici David Cameron – terzo gruppo del parlamento Ue con 70 membri -, che riunisce quelle forze della nuova destra europea che intendono giocare la carta di una sorta di “populismo di governo”: dai polacchi di Diritto e giustizia di Jaroslaw Kaczynski, da qualche mese al potere a Varsavia, ai neonazionalisti fiamminghi della N-Va, ago della bilancia dell’esecutivo di centrodestra del Belgio, dal Movimento dei Veri finlandesi di Timo Soini, che hanno integrato lo scorso anno la maggioranza di governo di Helskinki, fino a quel Partito del popolo danese, responsabile nell’ultimo decennio del drastico cambio di registro sull’accoglienza avvenuto a Copenhagen.
In altre parole, una destra tutt’altro che solo chiacchiere e distintivo che, sull’esempio di quanto è riuscito a fare Cameron che ha imposto a Bruxelles, agitando il fantasma della Brexit, una sorta di “preferenza nazionale” per i suoi concittadini, non punta solo a evocare allarmi e paure, quanto piuttosto a trasformarli in sinistre pratiche di gestione della cosa pubblica. In questo caso, una temibile “alternativa” per la politica tedesca.
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