by Roberto Ciccarelli, il manifesto | 13 Marzo 2016 16:43
Quelle di Blu non sono «opere», ma atti di cittadinanza: popolano lo spazio, creano immaginario, fanno movimento. La storia di Kreuzberg, quando decise con Lutz Henke di cancellare i murali visitati in processione dai turisti-hipster
Di sé, Blu, non parla. Parlano le sue opere super-iconiche, affreschi colossali, concepiti per proteggere da uno sgombero l’ex magazzino dell’Aeronautica militare in via del Porto Fluviale a Roma, occupato da 450 persone in emergenza abitativa o l’ex mercato ortofrutticolo occupato dal centro sociale Xm24 a Bologna, una delle opere cancellate ieri per protestare contro la mostra «Street Art. Banksy & Co» dove Blu è stato esposto. E museificato nel mercato dell’arte che ha coniato un termine specifico, «muralismo», per indicare una pratica pacificata, una professione rispettabile.
I suoi sono invece atti di cittadinanza, non opere da esporre in vetrina, quelle di un museo o sulla superficie legalmente autorizzata. L’ultima moda della «gentrificazione»: decorare lo spazio urbano come un salotto con le foto di famiglia in cornici argentate.
Blu rivolta Bologna
Tre le righe dedicate sul suo sito[1] da Blu agli organizzatori della mostra: «A Bologna non c’è più Blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi». Laconico, questo è lo stile dell’artista nato a Senigallia, cresciuto artisticamente a Bologna, street artist di fama mondiale.
La cancellazione dei murali bolognesi non va intesa solo come una difesa dell’indipendenza dell’artista o una protesta contro la riduzione della street art a arte decorativa. Ieri si è risvegliato un conflitto sociale sul futuro delle città. Era tutto rappresentato nel murale all’Xm24 che, ormai postuma, è diventata famosa.
Rappresentava il colossale scontro tra la città opulenta contro la città che lotta contro l’ingiustizia. Le munizioni: da un lato, enormi tranci di mortadella; dall’altro, cocomeri e zucche. L’affresco di una guerra contadina, una jacqueriecombattuta con armi alimentari. Uno scontro epico, chiaramente dualistico, dal sapore tolkeniano. Si guerreggia per conquistare un anello, posto al centro dell’affresco. A Blu non manca l’umorismo.
Le parti in gioco sono chiare: da un lato c’è l’ideologia del decoro urbano che trasforma i quartieri in salotti ed eventifici; dall’altro lato, i movimenti sociali dal G8 di Genova ai No Tav; il gigantesco biker che schiaccia le automobili a Lambrate, la battaglia quotidiana contro la gentrificazione e per l’autorecupero urbano.
Berlino, la città dei non-morti
Non è la prima volta che questo artista anonimo decide di cancellare un’opera, trasformandola in evento di un arte che concepisce come politica. Lutz Henke, co-autore nel 2008 del secondo muro in Cuvrystrasse a Kreuzberg, ha raccontato come un murales può diventare un’attrazione turistica contro lo stesso parere degli artisti.
È successo a Berlino dove l’affresco del manager con i polsi incatenati che mostrano un orologio d’oro e quello delle figure rovesciate che si smascherano sono diventate l’attrazione della città «povera e sexy» visitata da torme di turisti e hipster. Lo scontro sociale è diventato un’estetica della resistenza per le campagne di marketing territoriale.
Blu e Henke hanno deciso di cancellare gli affreschi, oggi sostituiti da un altro con un gigantesco dito medio: «Fuck You Gentrification». «Senza volerlo – ha scritto Henke in un’articolo sul Guardian nel 2014 – abbiamo creato una rappresentazione visiva ideale per una città che offre spazi giganteschi abbandonati per una vita a basso costo e una sperimentazione creativa tra le rovine della sua storia. Gli artisti scoprono di essere i loro principali nemici». Il vicinato protestò contro il turismo che è il primo passo della gentrificazione.
Gli artisti capirono: «Berlino ha bisogno del suo brand artistico per restare attraente, tende a rianimare la creatività che disperde, producendo una città non morta». Henke parla di una «zombificazione» che rischia di trasformare Berlino in una città riverniciata.
Il punto è un altro: «Reclaim your city», rivendica la tua città. L’evocazione di un diritto alla città era scritta a caratteri cubitali accanto a una delle teste delle sagome in Cuvrystrasse. Non lasciare, invece, senza risposte la domanda che molte volte è stata ripetuta in questi anni: «Chi governa questa città? Di chi credi che sia?»
Un’arte fugace
Ieri abbiamo compreso che la duplicazione di un’opera di Blu in una mostra a Bologna rischia di negare il senso di un altro spazio vissuto e recuperato, fuori dal suo centro-vetrina. La cancellazione è un atto che rafforza la funzione sociale di un intervento artistico sulla città, lì dove altre forme di azione politica si rivelano poco efficaci.
«Sin dal primo momento i murali di Blu sono destinati a scomparire – sostiene Henke – è la natura della street art occupare spazio per celebrare la sua incertezza, cosciente della sua esistenza fugace». È anche accaduto che un’opera di Blu sia stata cancellata dal suo committente.
È accaduto al museo d’arte contemporanea di Los Angeles – il Moca – nel 2010. Il direttore Jeffrey Deitch non gradì il pezzo pacifista che rappresentava le bare dei soldati caduti in una guerra americana rivestite di dollari e non con la bandiera Usa. Vicino al museo c’era un ospedale per veterani di guerra e un monumenti ai caduti nippo-americani.
La reazione di Blu fu determinata, ma serena. Parlò di «censura» e disse: «Mi capita spesso di dipingere soggetti forti – scrisse Blu – ma lascio sempre l’interpretazione aperta allo spettatore. La reazione delle persone è la cosa più interessante. Alcuni veterani hanno gradito il murale, trovandolo veritiero. La mia posizione è fare un passo indietro e guardare le reazioni».
Blu cancella i suoi murales a Bologna
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