Libia. I quaranta obiettivi sulla mappa Usa
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WASHINGTON Un vecchio Dc 3 rimodernato e pieno di apparati elettronici in Algeria. Un Atr che usa Creta come punto d’appoggio per puntate verso la Libia. L’ormai famoso N351DY basato tra Catania e Pantelleria. Il Dornier in arrivo dalla Germania, con a bordo commandos, diretto nell’Ovest del territorio libico e poi di nuovo a «casa» transitando spesso lungo la penisola. Sono le sentinelle, gli scout del cielo. Velivoli che da settimane scrutano il terreno a caccia di terroristi dell’Isis. Non solo quelli che si muovono tra Sirte e Sabratha, ma anche quelli in alcune zone della Tunisia, come sui monti Chaambi. Tutti possibili obiettivi di una futura campagna aerea messa a punto dal Pentagono. Un piano che resta sulla scrivania dello studio ovale alla Casa Bianca in attesa di un ordine.
Rilanciando una notizia già apparsa, il New York Times ha rivelato l’esistenza di un progetto d’attacco messo a punto dal Comando Africa americano e dal Joint Special Operations Command (Jsoc) per disarticolare la costola libica del Califfato. Nel pacchetto preparato dagli ufficiali ci sono tra i 30 e i 40 obiettivi. Centri di comando, basi, campi d’addestramento, depositi di armi e munizioni, vie di comunicazione, possibili concentramenti di mezzi. Ossia l’apparato militare dello Stato Islamico, circa 5-8 mila uomini (i numeri variano) distribuiti in diverse località, colonne che fanno riferimento al quartier generale di Sirte.
Washington ha previsto un intervento massiccio affidato alle tre componenti. I caccia F15 basati in Gran Bretagna e già protagonisti di strike in passato, come quello a Sabratha. Altri jet potrebbero essere mobilitati in diverse installazioni per dare un maggior peso. Poi i droni schierati a Sigonella, per i quali — se le regole valgono ancora — servirà un placet formale dell’Italia. Quindi missioni affidate alla Delta Force, una lama a doppio taglio. Da un lato può eliminare gli Hvt ( High Yield Target ), i bersagli di alto valore, i comandanti, organizzando imboscate al corteo di pick-up oppure affidandosi al preciso tiro di un cecchino. O ancora a una bomba piazzata sotto il fuoristrada. Un’attività ampia che affianca quella degli alleati, occidentali e locali. Gli americani prevedono che anche le aviazioni di Francia, Gran Bretagna e Italia possano contribuire, così come è probabile l’intervento delle unità scelte presenti sul territorio libico.
Gli Stati Uniti, inoltre, vogliono poggiarsi su alcune formazioni libiche che considerano l’Isis un nemico. A questo proposito va segnalato la consegna — pare da parte dell’Egitto — di altri sei Mig 21 e altrettanti elicotteri Mi-8 allo schieramento del generale Haftar, l’uomo forte di Bengasi, sostenuto dai francesi e dal Cairo.
In vista del «giorno X», l’Air Force e il Jsoc hanno intensificato la ricognizione con i velivoli speciali, alcuni dei quali visibili anche attraverso fonti aperte, come FlightRadar24 . Alcuni ormai ben noti, altri meno. Come il Dc 3 individuato dal sito Menadefense in Algeria, un mezzo «storico». Nel senso che è stato spesso usato dai servizi americani per compiti delicati: in Afghanistan, in Colombia durante la liberazione di Ingrid Bettancourt, a Bengasi.
La molla del dispositivo militare è stata caricata, basta liberarla. A frenarla i vertici politici. Obama non ha ancora deciso se autorizzare il colpo di maglio. Il Dipartimento di Stato non ha nascosto le sue perplessità. E lo stesso hanno fatto alcuni autorevoli analisti consultati dalle commissioni del Congresso. C’è il timore che i bombardamenti rendano ancora più fragili le debolissime istituzioni libiche: l’ormai famoso governo di unità nazionale è sempre un miraggio nel deserto, le rivalità interne sono profonde e la diplomazia fatica a trovare una strada che porti per davvero a un risultato. L’idea è quella di dare più tempo al negoziato, anche se lo scetticismo è ampio.
Le riserve sul merito sono rafforzate da quelle tattiche. Secondo alcuni il coordinamento tra le forze speciali occidentali non è poi così stretto, ognuno ha le sue priorità, legate a interessi regionali abbastanza evidenti. Inoltre sarebbero emerse difficoltà nel raccogliere informazioni sui mujahedin con il vessillo nero. Un aspetto, quest’ultimo, che può essere legato a questioni tecniche reali vista la fluidità delle formazioni, ma anche essere un modo per guadagnare tempo. La fase di valutazione non impedirà agli Usa di condurre raid limitati, una soluzione intermedia per mantenere la pressione sul nemico senza aprire un terzo fronte di guerra.
Rilanciando una notizia già apparsa, il New York Times ha rivelato l’esistenza di un progetto d’attacco messo a punto dal Comando Africa americano e dal Joint Special Operations Command (Jsoc) per disarticolare la costola libica del Califfato. Nel pacchetto preparato dagli ufficiali ci sono tra i 30 e i 40 obiettivi. Centri di comando, basi, campi d’addestramento, depositi di armi e munizioni, vie di comunicazione, possibili concentramenti di mezzi. Ossia l’apparato militare dello Stato Islamico, circa 5-8 mila uomini (i numeri variano) distribuiti in diverse località, colonne che fanno riferimento al quartier generale di Sirte.
Washington ha previsto un intervento massiccio affidato alle tre componenti. I caccia F15 basati in Gran Bretagna e già protagonisti di strike in passato, come quello a Sabratha. Altri jet potrebbero essere mobilitati in diverse installazioni per dare un maggior peso. Poi i droni schierati a Sigonella, per i quali — se le regole valgono ancora — servirà un placet formale dell’Italia. Quindi missioni affidate alla Delta Force, una lama a doppio taglio. Da un lato può eliminare gli Hvt ( High Yield Target ), i bersagli di alto valore, i comandanti, organizzando imboscate al corteo di pick-up oppure affidandosi al preciso tiro di un cecchino. O ancora a una bomba piazzata sotto il fuoristrada. Un’attività ampia che affianca quella degli alleati, occidentali e locali. Gli americani prevedono che anche le aviazioni di Francia, Gran Bretagna e Italia possano contribuire, così come è probabile l’intervento delle unità scelte presenti sul territorio libico.
Gli Stati Uniti, inoltre, vogliono poggiarsi su alcune formazioni libiche che considerano l’Isis un nemico. A questo proposito va segnalato la consegna — pare da parte dell’Egitto — di altri sei Mig 21 e altrettanti elicotteri Mi-8 allo schieramento del generale Haftar, l’uomo forte di Bengasi, sostenuto dai francesi e dal Cairo.
In vista del «giorno X», l’Air Force e il Jsoc hanno intensificato la ricognizione con i velivoli speciali, alcuni dei quali visibili anche attraverso fonti aperte, come FlightRadar24 . Alcuni ormai ben noti, altri meno. Come il Dc 3 individuato dal sito Menadefense in Algeria, un mezzo «storico». Nel senso che è stato spesso usato dai servizi americani per compiti delicati: in Afghanistan, in Colombia durante la liberazione di Ingrid Bettancourt, a Bengasi.
La molla del dispositivo militare è stata caricata, basta liberarla. A frenarla i vertici politici. Obama non ha ancora deciso se autorizzare il colpo di maglio. Il Dipartimento di Stato non ha nascosto le sue perplessità. E lo stesso hanno fatto alcuni autorevoli analisti consultati dalle commissioni del Congresso. C’è il timore che i bombardamenti rendano ancora più fragili le debolissime istituzioni libiche: l’ormai famoso governo di unità nazionale è sempre un miraggio nel deserto, le rivalità interne sono profonde e la diplomazia fatica a trovare una strada che porti per davvero a un risultato. L’idea è quella di dare più tempo al negoziato, anche se lo scetticismo è ampio.
Le riserve sul merito sono rafforzate da quelle tattiche. Secondo alcuni il coordinamento tra le forze speciali occidentali non è poi così stretto, ognuno ha le sue priorità, legate a interessi regionali abbastanza evidenti. Inoltre sarebbero emerse difficoltà nel raccogliere informazioni sui mujahedin con il vessillo nero. Un aspetto, quest’ultimo, che può essere legato a questioni tecniche reali vista la fluidità delle formazioni, ma anche essere un modo per guadagnare tempo. La fase di valutazione non impedirà agli Usa di condurre raid limitati, una soluzione intermedia per mantenere la pressione sul nemico senza aprire un terzo fronte di guerra.
Guido Olimpio
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