Colpa massima di Zaman, che diffonde 650mila copie, è stata la vicinanza con il movimento “Hizmet” di Feitullah Gulen, ex alleato di Recep Tayyp Erdogan e oggi rivale costretto all’esilio negli Stati Uniti. Il movimento è accusato di attività terroristiche con lo scopo di «rovesciare» il governo di Erdogan. Ma la volontà di far tacere ogni voce critica da parte del regime di Ankara prescinde dalle motivazioni: nei mesi scorsi la repressione ha toccato in vari modi il settimanale Nokta, i quotidiani Hurriyet e Cumhuriyet, le tv del gruppo Ipek. Secondo Reporter senza frontiere, la Turchia è al 149esimo posto su 180 Paesi nella classifica che valuta la libertà di stampa. Nelle carceri al momento sono rinchiusi più di 30 giornalisti.
Ma Erdogan sa di poter approfittare del momento: il mondo, e l’Europa soprattutto, non possono fare a meno del suo aiuto per gestire la crisi dei profughi. Domani a Bruxelles il premier di Ankara Davutoglu incontrerà i partner della Ue e si aspetta critiche di circostanza per la repressione della stampa. Ieri lo stesso Davutoglu ha dichiarato che il governo è estraneo alla vicenda. Da Bruxelles la Commissione europea ha sottolineato che «i diritti fondamentali devono essere rispettati », mentre il dipartimento di Stato Usa ha definito «preoccupante» il caso Zaman. Più energiche le critiche di Mosca, che ha esortato i partner occidentali a ricordare alla Turchia il dovere di rispettare la libertà di stampa.