La rabbia della destra contro l’establishment fa volare Trump

by FEDERICO RAMPINI, la Repubblica | 1 Marzo 2016 10:32

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HOUSTON È il Supermartedì più folle che si ricordi nella storia americana. Il partito repubblicano arriva al maxi-appuntamento delle primarie con un crescendo di accuse al suo favorito Donald Trump. «Razzista amico del Ku Klux Klan. Fascista simpatizzante di Mussolini. Sfruttatore di immigrati clandestini. Truffatore e bancarottiere. Evasore fiscale. In affari con la mafia». Non è la stampa liberal, non sono i candidati democratici; sono i rivali repubblicani Marco Rubio e Ted Cruz a lanciare questi attacchi (testuali) al tycoon newyorchese. Lo spettacolo è sconcertante: per otto lunghi mesi The Donald venne considerato un fenomeno da show-business, pittoresco quanto effimero e improbabile come candidato alla nomination repubblicana. Gli altri candidati della destra lo trattavano coi guanti, un po’ intimiditi dalla sua aggressività, un po’ speranzosi di attirarne gli elettori. Di colpo, quando forse è già tardi, hanno capito il pericolo.

Trump in tre primarie ha inflitto un distacco agli inseguitori. Stasera anche arrivando secondo in Texas (dove Cruz è favorito in quanto senatore locale) Trump può accumulare un ricco bottino di delegati se vince dalla Georgia al Massachusetts, dal Tennessee all’Alabama. Tra due settimane potrebbe battere Rubio nella sua Florida. Sbarrargli la strada alla nomination diventa sempre più arduo. Di qui i toni estremi, le offese personali: metà degli insulti da Rubio e Cruz, o delle risposte di Trump, non sono pubblicabili su questo giornale.

Ci sono anche accuse fondate. Trump continua a non divulgare le sue dichiarazioni dei redditi e questo autorizza i sospetti. Lui stesso ammette di essere oggetto di accertamenti da parte dell’agenzia delle entrate (Irs). Gli ammiccamenti con l’estrema destra razzista del Ku Klux Klan risalgono almeno al 2012, quando Trump lanciò la falsa leggenda su Barack Obama nato in Kenya quindi ineleggibile, usurpatore anti-costituzionale alla Casa Bianca. Le assunzioni di stranieri clandestini nei suoi cantieri newyorchesi e nel suo resort della Florida sono documentate in atti processuali, e contraddicono i suoi slogan contro gli immigrati. Ma perché aspettare otto mesi per vuotare il sacco?

È solo all’ultimo dibattito tv, organizzato giovedì scorso qui a Houston dalla Cnn, che Rubio e Cruz hanno lanciato gli attacchi più pesanti. E l’establishment repubblicano non è compatto dietro di loro. Sono cominciate le defezioni e gli endorsement di notabili del partito a favore di Trump, dal governatore del New Jersey Chris Christie al senatore Jeff Sessions dell’Alabama. Più preoccupante è la stabilità apparente dei sondaggi. Forse le ultime bordate di accuse non sono state ancora recepite. O forse la base repubblicana che adora Trump non vuole ascoltare messaggi che vengono dai politici di professione.

Le ragioni profonde dell’attrazione verso Trump — ma anche di quella esercitata a sinistra da Bernie Sanders — vanno cercate nella sofferenza di una vasta porzione di America che non ha mai recuperato benessere, reddito, sicurezza e futuro, dopo lo shock della crisi 2008-2009. I danni di quella crisi sono stati ancora più drammatici di quanto si creda. Sembra impossibile dopo sette anni consecutivi di crescita economica, e con una disoccupazione (ufficiale) dimezzata al 5%, ma il reddito medio delle famiglie resta di 4.000 dollari annui inferiore a quello del 2009. Per la classe operaia, e per un vasto ceto medio-basso che lavora nei servizi, il potere d’acquisto è addirittura fermo dagli anni Settanta. Quest’America si sente tradita, incompresa, abbandonata, perfino disprezzata dalla classe dirigente e da tutte le élite. È paradossale che sia il tycoon Trump a cavalcare la rabbia di un popolo di destra che considera i notabili del partito repubblicano troppo legati a Wall Street.

A questo si aggiunge nella cultura politica della destra la deriva radicale che ha delegittimato Obama per 7 anni e mezzo, sdoganando il razzismo e l’odio, inseguendo forme di protesta sempre più anti-politiche o perfino sovversive, fino a trovarsi in casa il «mostro Frankenstein di Donald Trump». Così lo definisce un autorevole pensatore conservatore, Robert Kagan, il quale ricorda come lo stesso establishment repubblicano ha preparato il terreno a questo mostro a furia di rappresentare Obama come «sovversivo, anti- americano».

Anche a sinistra c’è un ampia riserva di malcontento radicale per le diseguaglianze crescenti e la rottura dell’American Dream: stasera potrebbe portare alla vittoria Sanders nel Massachusetts, roccaforte liberal, patria dei Kennedy. La Clinton però si è rilanciata grazie alla sua presa tra gli elettori afro-americani del Sud, che dovrebbero assicurarle anche oggi un ampio margine.

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