by redazione | 30 Marzo 2016 10:29
Royal Dutch Shell, che per l’indice «Fortune Global 500» è la seconda compagnia petrolifera e in assoluto il terzo gruppo al mondo dopo Walmart e China Petroleum (Eni è 25°), è indagata per l’ipotesi di reato di «corruzione internazionale» dalla Procura di Milano in relazione all’accordo da 1,3 miliardi di dollari del 2011 tra Eni/Shell e il governo nigeriano per lo sfruttamento in tandem del ricchissimo blocco petrolifero offshore OPL 245. Senza che si sia mai saputo, la Procura ha sottoscritto con la Procura Nazionale Antifrode dell’Olanda un non comune accordo di «squadra investigativa comune», e lo scorso 17 febbraio ha mandato 50 uomini, tra italiani della GdF e colleghi olandesi, a svolgere una perquisizione (rimasta segreta benché protrattasi sino a notte) del quartier generale di Shell a L’Aja, dove è stata perquisita pure la casa dell’ex ministro nigeriano della Giustizia, Adoke Bello.
I pm milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro — che nel 2014 avevano indagato Eni con l’amministratore delegato Claudio Descalzi e l’ex presidente Paolo Scaroni, e che da Gran Bretagna e Svizzera avevano ottenuto il sequestro di 110 milioni del mediatore Emeka Obi e di altri 85 riconducibili all’ex ministro nigeriano del Petrolio Daniel Etete — contestano alla Shell la violazione della legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti per reati commessi dai loro dirigenti nell’interesse aziendale: nel mirino sono i 115 milioni di dollari dati dal gruppo Shell al gruppo Eni a latere dell’operazione con la quale Eni nell’aprile 2011 pagò ufficialmente al governo nigeriano 1 miliardo e 90 milioni di dollari come prezzo per la licenza detenuta dalla controversa società privata Malabu Oil and Gas.
Il 29 aprile 1998, infatti, sotto l’egida dell’allora dittatore nigeriano Sani Abacha, il blocco OPL 245 era stato assegnato appunto alla Malabu, fondata appena 5 giorni prima da tre soci che si scoprirà poi molto particolari: un figlio di Abacha, la moglie di un ex ministro, e tal Kweku Amafagha, nome falso sotto il quale si celava proprio Etete, cioè il ministro del Petrolio che stava assegnando la licenza. Quando Abacha morì, il successore Obasanjo revocò la licenza, poi assegnata a Shell. Ma a reclamare pretesi diritti si fecero avanti gli altri soci di Malabu, partì una serie di cause, e a fine 2006 la licenza tornò di fatto a Etete, che puntò a monetizzarla: in una prima fase con una trattativa tra Eni e controversi intermediari come la filiera Obi-Gianluca Di Nardo-Luigi Bisignani, e in una seconda fase invece con uno schema più lineare, che in apparenza vedeva Eni e Shell avere rapporti solo e direttamente con il governo nigeriano.
Ma quando Eni nell’aprile 2011 versa al governo 1 miliardo e 90 milioni (dei quali 115 ridati a Eni da Shell, che aveva anche scongelato 207 «vecchi» milioni al governo e contabilizzato ulteriori 300 milioni di costi già affrontati), al popolo nigeriano restano pochi dei soldi che, rimbalzando dal conto del governo a improbabili conti svizzeri e libanesi, ritornano in Nigeria. Quanti e a chi? «Pagamenti per 523 milioni giunti tramite percorsi molto tortuosi a Abubakar Aliyu, le cui società sarebbero collegate all’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan», stima a fine 2015 la Southwark Crown Court di Londra.
E che c’entrano i giudici di Londra? C’entrano perché nel 2013 Obi, accusando Etete di non avergli corrisposto la mediazione pattuita nella prima fase di trattativa (quella che poi sarebbe stata soltanto «ammantata» dell’ufficialità del canale governativo), fa causa a Etete a Londra, vince e ottiene 110 milioni spostati in Svizzera (da spartire in parte con Di Nardo). Ma arrivano i pm milanesi a chiedere all’estero il blocco di questi soldi ritenuti segmenti del prezzo-tangente: e i giudici inglesi e svizzeri, anche in sede di ricorso nel 2015, sequestrano tanto i 110 milioni di Obi quanto gli 85 milioni residui in pancia alla Malabu Oil (di fatto a Etete).
Mentre è noto che su OPL 245 sta indagando anche la Nigeria, dove il procuratore generale ha consigliato al governo di revocare la licenza a Shell ed Eni, la Shell è stata messa sotto inchiesta dai pm di Milano il 17 febbraio ma non risulta averlo esplicitato ai mercati: alla «Sec», autorità che vigila sulla Borsa di New York dove è quotata, il 10 marzo in un «Form 20-F» la compagnia ha laconicamente infilato solo due righe sul fatto che «le autorità di vari Paesi stanno indagando sul nostro investimento nel blocco petrolifero OPL 245 in Nigeria e sulla risoluzione del contenzioso nel 2011».
Luigi Ferrarella
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