? Una tendopoli sul binario morto

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IDOMENI (Grecia) Alexandra è una ragazza greca che studia giurisprudenza a Bologna. Era a bordo del traghetto Ancona-Igoumenitza “monopolizzato” dalla carovana #Overthefortness con tanto di assemblea sul ponte più alto. Ha deciso di non proseguire il viaggio con il padre verso Atene. Si è aggregata a Igoumenitza alla carovana italiana e ieri ha portato a destinazione due borse cariche di pannolini, medicinali e scarpe in una delle centinaia di tende del campo.

Con la pettorina arancione, a gruppetti controllati anche dall’elicottero della polizia greca, la delegazione di attivisti e volontari italiani è approdata a Idomeni nel primo pomeriggio. Ciascuno con un compito preciso a seconda delle attitudini: distribuire aiuti, far giocare i bambini, verificare legalmente la situazione dei profughi, tradurre dall’arabo o dall’inglese, monitorare la solidarietà. In 150 a darsi da fare, anche se il furgone con il materiale atteso dai profughi (a cominciare dalle scarpe) ha subito una perquisizione da parte della polizia.

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Nella tendopoli, che resta l’emblema del calvario europeo senza resurrezione, il clima sembra come il cielo sempre sospeso fra la minaccia di un temporale o il sole che combatte con le nuvole. È nato un bambino da una parte, mentre dall’altra la piccola folla assalta il vecchio camion con il cibo. Nella tenda curda si sorseggia tè con la musica tradizionale, ma al confine con la Macedonia la protesta non si smorza. Si improvvisa una “vera” partita a calcio con la polisportiva San Precario, tuttavia nella strada che scende dal piccolo paese si gioca sempre il business nel bazar dei disperati.
Chi conosce la «città dei migranti» parla della possibilità di un esodo dei siriani verso le strutture che il governo Tsipras ha concordato con Bruxelles e barattato con Erdogan.
Tuttavia, il resto del Medio oriente in quest’angolo di Grecia rinnova la promessa di trovare un pertugio verso Skopje se non addirittura la rotta verso Tirana. Le famiglie, tantissime, dignitose nonostante tutto, provano comunque a nutrire la speranza «europea» con la cena nei vassoi di plastica.
Idomeni, tendopoli sul binario morto resta comunque la residenza di non meno di 10 mila persone cui bisogna aggiungere la decina di campi cresciuti intorno alle stazioni di servizio, fino a quelli «ufficiali» intorno a Salonicco. Qui la vita quotidiana si misura con la preghiera nella moschea improvvisata, la spola delle squadre con badili e sacchi neri (Medici senza frontiere garantisce così pulizia e igiene), il censimento legale cui partecipano anche gli studenti del corso di protezione internazionale Asgi di Roma, i bambini che continuano a sorridere e giocare, l’infopoint che offre il testo dell’ultimo accordo Ue con altre notizie in arabo per chi vuol aggiornare la bussola, l’odore pervasivo della cenere di ogni genere di fuoco alimentato con tutti i materiali a disposizione.
Finché c’è luce, ci si sforza tutti di immaginare la “normalità” dentro questa specie di follia.
Ma da troppo tempo profughi di guerra, migranti d’ogni tipo, volontari più o meno accreditati e perfino Unhcr sanno bene che sarà impossibile perpetuare lo stato d’eccezione autogovernata. È scritto, prima o poi, anche il destino di Idomeni: come la giungla di Calais. Dipenderà dal governo di Atene, che per il momento continua a trattenere gli agenti in assetto anti-sommossa: venerdì c’erano i primi bus a beneficio dei siriani, usciti a spinta dal fango ma pur sempre un precedente su cui far leva…
Con la carovana #Overthefortness sono tedeschi, catalani, inglesi, francesi (e perfino giapponesi) a far da specchio all’Europa che non discrimina né piazza cavalli di frisia. Bruxelles è davvero lontanissima, anche se qui i cartelli di «scuse» rispuntano puntuali a rimarcare la differenza abissale fra chi sopporta le conseguenze delle guerre e chi terrorizza anche l’esodo biblico.
Quando cala il buio, arriva puntuale il freddo. Soprattutto nell’anima della tendopoli emblema d’Europa. Lo si combatte con l’ultimo girotondo di decine di ragazzini, accendendo il simulacro di un focolare davanti a «casa», con il pellegrinaggio al generatore che carica i cellulari ultimo filo di affetto per tante famiglie divise o stringendo le spalle nella notte che si ripete uguale.
Nemmeno oggi i diritti fondamentali risorgeranno a Idomeni. Ma almeno dall’alba si ricomincia a mantenere vivo il rispetto della vita di tutti: anche solo con un paio di scarpe, matite colorate, pannolini e cibo caldo.



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