Tutti gli uomini di Hollande: Ecologisti, radicali e amici
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PARIGI «Non volevo perdere tempo per formare un nuovo ministro degli Esteri. Ho preso Jean-Marc Ayrault perché è esperto, è stato premier e conosce già le questioni sul tavolo», spiega François Hollande nell’intervista serale a reti unificate. Poche ore prima il presidente ha compiuto il rimpasto atteso da settimane, e ha varato il governo che deve guidare il Paese negli ultimi 14 mesi del suo mandato: una squadra pensata per le riforme e anche, inevitabilmente, per le elezioni della primavera 2017.
Quindi, da un lato, Hollande ha bisogno di lealtà e richiama l’amico Ayrault; dall’altro offre nuovo spazio agli ecologisti — che fino a pochi giorni fa gli rivolgevano critiche tremende — e ai radicali, una timida apertura alla sinistra che però probabilmente non sarà sufficiente a evitargli tra un anno la candidatura concorrente di Cécile Duflot.
Al posto di Laurent Fabius, affaticato dopo il successo della COP21 e dirottato alla presidenza del Consiglio costituzionale, Hollande riporta in primo piano il fedele Jean-Marc Ayrault, nel 2014 costretto alle dimissioni per fare posto all’emergente Manuel Valls. Cacciato quando era numero uno, Ayrault torna da numero due, ma sarà interlocutore diretto del presidente assieme al quale gestirà la politica estera.
Il nuovo governo francese vede poi confermati ai loro posti i ministri chiave che hanno affiancato Hollande durante il terribile 2015 degli attentati: Bernard Cazeneuve all’Interno, Jean-Yves Le Drian alla Difesa, Michel Sapin alle Finanze, Emmanuel Macron all’Economia, Ségolène Royal all’Ambiente ed Energia. Anzi, il ruolo di Royal viene rafforzato perché le viene affidata la delega alle «relazioni internazionali sul clima», in pratica l’applicazione dell’accordo della COP21 stipulato il 12 dicembre scorso a Parigi.
Il rafforzamento di Royal e il ritorno di Ayrault servono a rendere ancora più compatta l’équipe degli «uomini del presidente», in una fase politica che vede il premier Valls piuttosto incline a costruirsi un percorso politico personale (tanto che fino all’ultimo momento molte voci indicavano una sua uscita dal governo).
Il neoministro degli Esteri Ayrault, germanofilo, potrà anche pesare nel rilancio dell’asse con la Germania e nella messa a punto della nuova iniziativa europea annunciata entro la fine del 2016 da Hollande e Merkel. Questo «governo delle riforme» ha tre priorità, ha spiegato Hollande: «Proteggere i francesi; lottare contro la disoccupazione; applicare l’accordo sul clima». E qui si affaccia l’altro tema del rimpasto: l’ingresso nel governo di tre esponenti ecologisti — Emmanuelle Cosse, Jean-Vincent Placé e Barbara Pompili — fuoriusciti dal litigioso partito Europe Ecologie-Les Verts.
In cambio della loro partecipazione all’esecutivo, Hollande ha accettato di tenere entro ottobre un referendum locale sulla costruzione del nuovo aeroporto di Notre-Dame-des-Landes destinato a servire l’Ovest della Francia: una grande opera pubblica approvata da anni, ma avversata da manifestanti e residenti. È come se in Italia il governo scegliesse di rimettere in questione la Tav Torino-Lione affidando la decisione finale agli abitanti della Val di Susa. Hollande aveva bisogno di allargare il suo consenso a sinistra, e la nomina allo Sviluppo del territorio del radicale Jean-Michel Baylet, già ministro 23 anni fa, non sarebbe bastata.
Stefano Montefiori
Quindi, da un lato, Hollande ha bisogno di lealtà e richiama l’amico Ayrault; dall’altro offre nuovo spazio agli ecologisti — che fino a pochi giorni fa gli rivolgevano critiche tremende — e ai radicali, una timida apertura alla sinistra che però probabilmente non sarà sufficiente a evitargli tra un anno la candidatura concorrente di Cécile Duflot.
Al posto di Laurent Fabius, affaticato dopo il successo della COP21 e dirottato alla presidenza del Consiglio costituzionale, Hollande riporta in primo piano il fedele Jean-Marc Ayrault, nel 2014 costretto alle dimissioni per fare posto all’emergente Manuel Valls. Cacciato quando era numero uno, Ayrault torna da numero due, ma sarà interlocutore diretto del presidente assieme al quale gestirà la politica estera.
Il nuovo governo francese vede poi confermati ai loro posti i ministri chiave che hanno affiancato Hollande durante il terribile 2015 degli attentati: Bernard Cazeneuve all’Interno, Jean-Yves Le Drian alla Difesa, Michel Sapin alle Finanze, Emmanuel Macron all’Economia, Ségolène Royal all’Ambiente ed Energia. Anzi, il ruolo di Royal viene rafforzato perché le viene affidata la delega alle «relazioni internazionali sul clima», in pratica l’applicazione dell’accordo della COP21 stipulato il 12 dicembre scorso a Parigi.
Il rafforzamento di Royal e il ritorno di Ayrault servono a rendere ancora più compatta l’équipe degli «uomini del presidente», in una fase politica che vede il premier Valls piuttosto incline a costruirsi un percorso politico personale (tanto che fino all’ultimo momento molte voci indicavano una sua uscita dal governo).
Il neoministro degli Esteri Ayrault, germanofilo, potrà anche pesare nel rilancio dell’asse con la Germania e nella messa a punto della nuova iniziativa europea annunciata entro la fine del 2016 da Hollande e Merkel. Questo «governo delle riforme» ha tre priorità, ha spiegato Hollande: «Proteggere i francesi; lottare contro la disoccupazione; applicare l’accordo sul clima». E qui si affaccia l’altro tema del rimpasto: l’ingresso nel governo di tre esponenti ecologisti — Emmanuelle Cosse, Jean-Vincent Placé e Barbara Pompili — fuoriusciti dal litigioso partito Europe Ecologie-Les Verts.
In cambio della loro partecipazione all’esecutivo, Hollande ha accettato di tenere entro ottobre un referendum locale sulla costruzione del nuovo aeroporto di Notre-Dame-des-Landes destinato a servire l’Ovest della Francia: una grande opera pubblica approvata da anni, ma avversata da manifestanti e residenti. È come se in Italia il governo scegliesse di rimettere in questione la Tav Torino-Lione affidando la decisione finale agli abitanti della Val di Susa. Hollande aveva bisogno di allargare il suo consenso a sinistra, e la nomina allo Sviluppo del territorio del radicale Jean-Michel Baylet, già ministro 23 anni fa, non sarebbe bastata.
Stefano Montefiori
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