SE L’ISTAT NON FA PIÙ INDAGINI

SE L’ISTAT NON FA PIÙ INDAGINI

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GRANDI cambiamenti sono in vista nell’organizzazione dell’Istat, con potenziali ricadute sul tipo e qualità dei dati che vanno valutate con attenzione, stante il ruolo dell’Istituto nella produzione di dati sia per i policy makers sia per la comunità scientifica. Il consiglio dell’Istituto ha appena approvato un ambizioso progetto di modernizzazione proposto dal presidente Alleva al fine di «arricchire la qualità e l’offerta delle informazioni » , che ha suscitato un dibattito tra addetti ai lavori e qualche preoccupazione. In sintesi, esso da un lato prevede una sostanziale riorganizzazione interna, dall’altro un forte ripensamento circa la modalità di raccolta dei dati. I due processi sono in parte interdipendenti. Come utilizzatrice dei dati e come persona consapevole di quanto essi siano importanti non solo a fini di ricerca, ma anche di policy making e di valutazione di impatto delle decisioni politiche, qui mi soffermo principalmente sul secondo. L’informazione statistica soprattutto in campo sociale e demografico che l’Istat mette attualmente a disposizione è un patrimonio che non ha riscontro in nessun altro istituto nazionale di statistica in Europa, tanto più importante perché mancano, in Italia, centri di ricerca autonomi comparabili, ad esempio, al Sofi presso l’università di Stoccolma in Svezia, che da anni effettua l’importantissima ricerca sul livello di vita, o il sistema degli istituti Max Planck e Leibnitz in Germania, che hanno un ruolo importante nelle scienze sociali, oltre che in quelle fisico- matematiche e biologiche. Se l’Istat dagli anni Novanta, per intelligente scelta dei suoi presidenti e l’enorme lavoro svolto da una delle sue dirigenti più qualificate, Linda Laura Sabbadini e dagli altri dirigenti del settore sociale non avesse messo in piedi il sistema di Indagini Multiscopo ed arricchito in ottica sociale anche le indagini sulle forze di lavoro e sui consumi, poco sapremmo su molti cambiamenti che hanno riguardato la società italiana, dalla famiglia ai rapporti tra le generazioni e ai rapporti uomo-donna; poco o nulla sapremmo sulla povertà assoluta, i senza dimora, la violenza in famiglia e fuori, il bullismo, le reti di aiuto informale, sui migranti ed altro ancora. L’Italia non sarebbe neppure in grado di essere uno dei primi e pochi paesi a preparare periodicamente un rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) fornendo dati di lettura della realtà oltre il Pil. È quindi ragionevole chiedersi se il progetto di modernizzazione approvato valorizzerà questi importanti cambiamenti e i protagonisti che li hanno resi possibili entro l’Istat, se rafforzerà, o invece rischierà di indebolire questo patrimonio e perciò la funzione dell’Istat nella produzione di conoscenze essenziali.

Non vi è dubbio che il progettato proseguimento dell’opera, già in corso, di maggiore e più sistematico utilizzo di dati di archivio e la loro integrazione reciproca e con i dati di survey, è un passo importante e da considerare positivamente, pur nella consapevolezza che gli archivi italiani, oltre a non parlarsi tra loro, sono meno affidabili di quanto non avvenga in altri paesi. Il lavoro per il loro miglioramento e integrazione, che va sicuramente fatto e incoraggiato, sarà molto lungo e si scontrerà con le gelosie autonomistiche dei diversi ministeri, istituti, realtà territoriali, come sanno tutti coloro che ci hanno già provato, anche su scala più piccola. Sarebbe tuttavia illusorio e destinato a impoverire l’informazione pensare di sostituire con i dati di archivio quella raccolta con le indagini. Se ne sono accorti i paesi, come l’Inghilterra, che hanno intrapreso questa strada già da diversi anni e che hanno fatto una parziale marcia indietro. I dati di archivio non possono dare informazioni non solo sugli atteggiamenti, ma neppure su molti comportamenti che pure sono importanti per capire come funziona una società e si muovono gli individui che vi abitano. Il presidente Alleva ha assicurato che le indagini sociali “classiche” – forze lavoro e consumi, oltre all’indagine europea sulle condizioni socio-economiche (Eu-Silc) continueranno, il che è ovvio, perché esse sono regolate per legge, nazionale ed europea. Ma che cosa succederà del sistema di indagini Multiscopo che da vent’anni sono il fiore all’occhiello dell’istituto, consentendo di monitorare il cambiamento sociale in un modo che le indagini su-citate non permetterebbero e tanto meno i censimenti? Anche questi ultimi, per altro, non possono essere sostituiti dal ricorso agli archivi. Razionalizzare ed eliminare doppioni, non tanto per contenere i costi, ma per aumentare l’efficienza è sicuramente importante. Ma ciò non deve avvenire a spese di una riduzione di fatto delle informazioni che possono essere raccolte solo tramite le indagini sociali.

Sempre nell’ottica di una attenzione per la qualità dei dati, desta qualche preoccupazione anche la progettata separazione tra raccolta dei dati e produzione di statistiche, che a sua volta richiede che i, necessari, rapporti tra i due vengano regolati da “contratti di servizio”, con il rischio di appesantire e burocratizzare procedure e relazioni che invece dovrebbero essere rese più fluide per operare tempestivamente. Pur senza enfatizzare eccessivamente gli specialismi settoriali, qualsiasi ricercatore sa che vi è uno stretto rapporto tra metodi e oggetti di ricerca. Separare gli uni dagli altri rischia di impoverirli entrambi.



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1 comment

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  1. rosa lippolis
    rosa lippolis 24 Febbraio, 2016, 08:35

    condivido pienamente la preoccupazione della perdita di informazioni importanti riguardo agli aspetti sociali della nostra società, purtroppo si sta peggiorando la qualità del dato anche privatizzando anche la raccolta dei dati

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