Quella torta da 300 miliardi che ha spaccato l’Europa

by ALBERTO D’ARGENIO, la Repubblica | 20 Febbraio 2016 18:27

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BRUXELLES Più di trecento miliardi spalmati su sei anni. È questa la torta dei fondi europei che Matteo Renzi – rilanciando una minaccia già brandita da Berlino vuole togliere ai paesi dell’Europa orientale che si rifiutano di accogliere i richiedenti asilo. Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia. E ancora, i baltici, altrettanto contrari all’idea di una gestione comune dei migranti, di una ripartizione tra i Ventotto di chi fugge in Europa per trovare riparo da guerra e terrorismo. Sono loro che hanno portato Schengen sull’orlo del collasso bloccando da mesi qualsiasi decisione comunitaria. Che hanno costretto paesi come Austria, Germania e Svezia, inizialmente accoglienti con tutti i profughi, a chiudere le porte e a ripristinare i controlli alle frontiere precipitando l’Unione in uno stallo figlio di un pericoloso tutti contro tutti. E poco importa che anche Francia e Spagna siano scettiche verso le riallocazioni: se il problema fosse stato risolto subito avrebbero accettato il sistema.
UNANIMITÀ
La minaccia ad Orban&Co sui fondi piace a molte capitali della Vecchia Europa, ma non è facile da portare alle estreme conseguenze. Il bilancio pluriennale dell’Unione viene infatti approvato all’unanimità su proposta della Commissione ed è difficile immaginare che i leader dell’ex blocco sovietico decidano spontaneamente di tagliarsi i soldi nel 2019, quando l’Ue inizierà a negoziare le prospettive finanziarie 2021-2027. Più verosimile pensare un blitz immediato, visto che i governi ogni anno all’interno del bilancio pluriennale (quello attuale copre il periodo 2014-2020) decidono le spese per i 12 mesi successivi. In questo caso a maggioranza qualificata. Ma appare comunque improbabile che i leader dell’Est non riescano a mettere insieme una minoranza di blocco in grado di fermare la rappresaglia congelando il bilancio. Dunque quella sui fondi può essere considerata una minaccia più politica che reale, anche se nasconde una grande verità su quanto le capitali dell’Est siano europeiste nell’incassare gli ingenti aiuti di Bruxelles e quanto si rivelino egoiste nel non accettare la ripartizione dei migranti ora stipati in pochi paesi.
CONTRIBUTORI
Il bilancio 2014-2020 dell’Unione conta 970 miliardi. Circa 300 tornano ai governi sotto forma di aiuti. Si tratta dei fondi strutturali, di coesione (riservati alle nazioni dell’ultimo allargamento), dei sussidi all’agricoltura, al sociale e di altre decine di programmi europei. Il più grande contributore netto al bilancio comunitario è la Germania, che ad esempio nel 2014 ha avuto un saldo passivo verso l’Unione di 15,5 miliardi. Seguono Francia, che tra dare e avere ha perso 7,1 miliardi, Gran Bretagna (4,9), Olanda (4,7) e Italia (4,4), che nell’ultimo negoziato condotto da Monti nel 2013 ha migliorato di due miliardi il saldo.
BENEFICIARI
Tra i paesi dell’Europa pre-allargamento chi è beneficiario netto dei fondi Ue sono Grecia e Portogallo e per cifre irrisorie Irlanda, Malta e Cipro. La parte del leone nel prendere la fanno però i paesi dell’Est. Come la Polonia, nazione governata dalla destra populista di Kaczynski e Szydlo, contraria all’accoglienza. Peccato che nel 2014 Varsavia abbia registrato un saldo attivo di 13,7 miliardi nel rapporto tra dare e avere con Bruxelles. Il tipico esempio di nazione accusata di accettare la solidarietà a senso unico. Una cifra pari al 3,47% del Prodotto interno lordo con la quale Varsavia sta ammodernando economia e infrastrutture. Tra l’altro nel periodo 2014-2020 può ricevere 228 milioni Ue per i migranti. Altro campione di incassi è l’Ungheria del liberticida Viktor Orban: 5,6 miliardi di attivo nel 2014, pari addirittura al 5,64% del Pil nazionale. E tra l’altro gli ungheresi hanno a disposizione 93 milioni europei per gestire i profughi. Prende bene anche la Repubblica Ceca: 3 miliardi all’anno pari al 2% del Pil. Vengono poi Bulgaria (1,8 miliardi, 4,4% del Pil), Lituania (1,5 miliardi, 4,3% del Pil) e Lettonia (799 milioni, il 3,35% del Pil). Anche gli altri paesi dell’Est, con cifre inferiori, sostengono le loro economie grazie ai fondi europei. Gli stessi paesi che da mesi voltano le spalle alle nazioni che non riescono da sole a gestire i profughi in arrivo dalla Siria. E che ora sono allo stremo.
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