Perché non ho votato una legge monca

Perché non ho votato una legge monca

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Non ho partecipato al voto sulla questione di fiducia, posta dal governo sul disegno di legge Cirinnà. Questo è il motivo. Un provvedimento che aveva come motivo ispiratore il principio di non discriminazione rischia di introdurre, con lo stralcio della norma sulle adozioni, un’illegittima disparità di trattamento. Non tanto e non solo tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali, quanto tra figli adottandi di coppie eterosessuali e di coppie omosessuali.

Ritengo, cioè, che dallo stralcio della norma sulle adozioni derivi una legge monca, tale da neutralizzare il valore profondo dell’unione civile e ridurla a mero sistema di garanzie economiche e sociali: un contratto privato. E ciò in cambio della rinuncia al suo riconoscimento giuridico-morale. Il che risulta confermato dalla cancellazione, nel testo approvato, del «dovere di fedeltà», quasi che venisse esclusa la dimensione affettiva del rapporto.

Una disciplina che riconosca le unioni civili tra persone dello stesso sesso avrebbe dovuto rispondere, appunto, al principio di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale, come chiarito anche dalla Corte europea dei diritti umani. Questo vincolo impone, tra l’altro, di applicare la disciplina prevista per l’adozione del figlio del partner a prescindere dall’orientamento sessuale di quest’ultimo, valutandone esclusivamente l’idoneità a svolgere la funzione genitoriale e la qualità del legame stabilito con il bambino, a tutela del superiore interesse di quest’ultimo. E’ quanto ha riconosciuto la giurisprudenza, negando che il carattere omosessuale della coppia possa di per sé determinare alcun pregiudizio alla qualità delle relazioni instaurate con il minore e, quindi, rappresentare un elemento ostativo all’applicazione della disciplina generale.
Chi abbia instaurato con il minore un legame importante, in virtù della convivenza con l’altro genitore, non può essere considerato, insomma, al pari di qualunque altro estraneo, solo perché omosessuale. La norma stralciata del disegno di legge si limitava a rendere diritto positivo quanto la giurisprudenza prevalente ha già riconosciuto. Espungerla dal testo ha significato demandare ancora una volta alla mutevolezza degli orientamenti giurisprudenziali il riconoscimento del diritto del minore a veder legittimato un rapporto essenziale per la sua crescita, sottraendolo al limbo giuridico che altrimenti lo caratterizzerebbe.

Si è trattato, in altre parole, di una scelta conservatrice, che ha subordinato il superiore interesse del bambino a una presunzione, indimostrata e discriminatoria, di inidoneità della persona omosessuale a crescere un figlio. E non è nemmeno ragionevole ipotizzare che, negando l’adozione coparentale, si ottenga il risultato non voluto di disincentivare la surrogazione per altri. Anche a non distinguere i casi, tutti particolari, della surrogazione per mera gestazione (in cui gli ovuli della madre sono impiantati nell’utero altrui, così da mantenere il legame genetico) e della surrogazione altruistica (che esclude ogni possibile sfruttamento della gestante), si può davvero negare al bimbo già nato da gestazione per altri il diritto al riconoscimento del rapporto con il genitore “sociale”?

Queste alcune delle questioni che la normativa approvata ignora o liquida sbrigativamente e negativamente. Ed è la ragione per la quale che non ho sostenuto il disegno di legge Cirinnà nella sua nuova versione e non ho votato la fiducia. Si aggiunga ciò che in apparenza può sembrare un dettaglio: dal testo, come ho anticipato, è stato espunto il riferimento all’«obbligo di fedeltà» perché, si è detto, assimilerebbe le unioni civili all’istituto del matrimonio.

Qui davvero lo spirito vacilla. È chiaro che emerge un rimosso particolarmente cupo e ingombrante. Un conto sarebbe stato eliminare l’obbligo di fedeltà per qualunque vincolo di coppia, un conto ben diverso è cancellarlo per le sole coppie omosessuali. Comunque la si metta, e qualunque affinità col matrimonio possa paventarsi, dietro c’è un pregiudizio grande come una casa: l’omosessuale è considerato, per natura e vocazione, persona dissoluta («tant’è vero che è omosessuale»), incapace di impegno reciproco, monogamia e, dunque, fedeltà. Un porcellone, insomma (due o più porcelloni) cui attribuire alcune garanzie economiche e sociali, ma non certamente il riconoscimento giuridico-morale di un’unione civile, dotata di pienezza di diritti e di pari dignità.

Non si avverte, in ciò, l’eco di una irriducibile omofobia?



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