New Delhi, lotta di casta bloccato l’acquedotto 16 morti negli scontri

by RAIMONDO BULTRINI, la Repubblica | 23 Febbraio 2016 10:31

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NEW DELHI L’allarme nella capitale indiana è suonato con un disperato tweet del ministro in capo dello Stato, Arvind Kejriwal. «Stiamo finendo l’acqua!», ha scritto il fondatore del partito dell’”Uomo qualunque”. «Chiediamo a mani giunte al governo centrale di intervenire subito per far riaprire il canale Munak ».

A sequestrare e distruggere parte delle condutture dell’acquedotto che dal nord ovest serve almeno dieci milioni di abitanti, sono stati migliaia di rivoltosi dal confinante Haryana, dove la più rappresentativa popolazione di proprietari terrieri di una casta alta chiamata Jat, ha deciso di mostrare i muscoli per ottenere qualcosa che sulla carta non gli appartiene, uno status di censo inferiore, con il relativo diritto alle quote di impiego e studio per i non abbienti. Dalla settimana scorsa, in particolare da venerdì, hanno stretto d’assedio il nord ovest della capitale con poderosi blocchi di incroci e ferrovie oltre alla Highway 1 che attraversa i terreni delle grandi compagnie di Gurgaon, mentre nuovi scontri si sono accesi tra Rohtak, Bhiwani, Jhajjar, Sonipat, fino al confinante Rajastan, dove vive un’altra parte degli 80 milioni di membri del clan . Già 16 i morti e centinaia i feriti, ingenti le devastazioni e i disservizi seguiti al blocco di autostrade e ferrovie, senza contare la chiusura di scuole, atenei e 500 fabbriche.

La guerra dell’acqua, con due terzi della capitale ieri a secco, si è conclusa in giornata con un assalto dei soldati ai dimostranti che avevano chiuso e danneggiato le paratie del canale. A parole ai Jat è stata concessa vittoria, con il partito di maggioranza del Bjp disposto a trattarne il declassamento formale per renderli eleggibili negli impieghi governativi e nei posti riservati alle quote per le classi inferiori presso le migliori scuole e università statali. Ma ora i rivoltosi chiedono l’elenco scritto e dettagliato delle concessioni. Altrimenti la guerra continua e – hanno promesso – con essa la paralisi e la sete, contando sulla forza di una moltitudine che nemmeno l’esercito potrebbe tenere a bada.

Il fatto è che i posti riservati sulla base della condizione familiare – una contraddizione in un Paese dove da 65 anni è formalmente negata l’esistenza del sistema di caste – non sono infiniti, e sono già assegnati sulla carta alle categorie più deboli, tradizionalmente emarginate, come i Fuoricasta o dalit e i membri dei grandi clan classificati “Obc”, le “altre caste arretrate” alle quali i manifestanti chiedono di venire omologati. Inoltre, secondo la Corte Suprema, i Jat non rientrano affatto nei parametri di povertà descritti dalla Costituzione per definirsi “arretrati”.

Il premier Narendra Modi sa bene che i Jat, un terzo dell’elettorato dello Stato confinante di Delhi, hanno sostenuto il suo partito alle ultime elezioni, ma è consapevole che il cedimento alle loro richieste rischia di avere ripercussioni ben più estese del solo nord ovest. Nessuno ha dimenticato la analoga, sanguinosa rivolta di un altro clan delle caste alte, i Patel del Gujarat, vasto e determinante almeno quanto i Jat nel sostenere Modi e il Bjp. Convinti a loro volta di essere discriminati, mezzo milione di Patel invasero a marzo il centro di Ahmedabad per ottenere le ambite quote e ora aspettano solo un segnale per tornare in piazza.

Nel ginepraio di un sistema di classificazione risalente agli antichi Veda, afflitto dall’insoddisfazione di caste superiori e inferiori per gli effetti della crisi globale, da più parti si chiede una revisione tout court del sistema di difesa istituzionale delle categorie deboli, ad esempio assegnando i posti per merito. Ma pochi possono prevedere la prossima piega degli eventi se dovessero saltare le garanzie che negli ultimi decenni hanno permesso a masse di dalit e Obc di studiare e lavorare.

 

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