L’assedio di Aleppo

L’assedio di Aleppo

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La torretta del tank T-90 rotea sui cingoli e posiziona, ben inquadrato dalla tv di Stato siriana, il suo cannone in direzione di Aleppo. Sparare da Tamura, il villaggio strategico da cui si domina il pianoro che lentamente digrada verso la città, è per gli artiglieri come essere al poligono. Non distante altri carri armati prendono posizione sulla Highway n.5, che porta verso Raqqa, la capitale del Califfato.

Un anello militare si sta chiudendo attorno ad Aleppo, in città piovono le bombe a grappolo che i Sukhoi-30 russi sganciano quasi senza sosta da 3 giorni, oltre cinquecento le missioni dei caccia russi per sostenere la riconquista non solo della città ma di tutta la sua regione nella parte ovest, fondamentale per la nascita di “Alawistan”, il mini-Stato che Bashar al Assad e i suoi sperano nasca dalle rovine della guerra, perché la “vecchia” Siria – è chiaro anche a loro ha da tempo cessato di esistere.

La cattura di Aleppo può determinare il destino della guerra nel resto del nord della Siria.

Una vittoria militare fra queste colline taglia la via ai ribelli “sunniti” verso il confine con la Turchia da dove arrivano armi e rifornimenti, e li intrappola tra le forze di Assad che vengono da sud, le forze curde del Pyd che sono a nord, e i miliziani del Califfato a est.

Venti chilometri a nord della città un’altra battaglia è in corso. I jet militari turchi bombardano per il secondo giorno consecutivo la base militare siriana di Menagh, caduta nelle mani dei curdi del Pyd, alleati dei siriani e dei russi in questa battaglia. Menagh era nelle mani di Jabhat al Nusra prima, ed era un perfetto punto di stoccaggio di armi e rifornimenti che arrivano dal poroso confine turco, che dista solo 6 chilometri.

In città i comandanti militari ribelli rinforzano le posizioni, annunciano di aver scavato tunnel, preparato trappole per fermare l’avanzata di Hezbollah libanesi e volontari venuti dall’Iran che affiancano le forze di Assad nella campagna.

Ma nonostante i proclami altisonanti, la città non sembra aver la forza di resistere. I quartieri a ovest sono sotto il controllo di una galassia di formazioni, divise e rivali fra loro. C’è una presenza dell’Esercito libero siriano, gruppi islamici come Jabhat al Nusra, l’Esercito dell’Islam e Ahrar a Sham. L’Is mantiene una piccola forza dentro i confini della città ma controlla ampie fasce di territorio ad Est e Nord. Sessantamila i miliziani in armi che si aggirano fra i palazzi sventrati dai bombardamenti. I civili sono in fuga, oltre centomila sono in marcia o si stanno già accalcando sui reticolati turchi al valico di Kilis. E’ già un disastro umanitario. «Oggi quasi 400mila persone rimangono nelle zone non controllate dai governativi. Chi poteva è già fuggito», dice Dalia Al-Awqati, capo dei programmi di Mercy Corps nel nord della Siria.

Mentre le forze fedeli ad Assad e i suoi alleati stringono il cappio attorno alla città, i comandanti ribelli annunciano di aver pianificato una difesa all’ultimo uomo, fanno sapere dell’arrivo di rifornimenti, armi sofisticate. I qaedisti di Al Nusra hanno fatto entrare anche 1.800 uomini di rinforzo. Osama Taljo, uno dei 25 membri del consiglio comunale della zona in mano ai ribelli, annuncia ai microfoni di Al Arabya, «abbiamo materiali e risorse per resistere almeno un anno, spero anche di più». Abu Firas, un ex colonnello dell’esercito siriano e oggi comandante di Al-Sham, il maggiore gruppo ribelle in città, sostiene che «i governativi di Assad non hanno abbastanza effettivi per mantenere una pressione militare così a lungo, negli scontri a terra abbiamo ucciso molti volontari libanesi, pachistani e iracheni».

Ma non sono tutti così ottimisti. Per il generale Salem Idris – ex capo militare dell’Esercito libero siriano – non c’è nessun coordinamento fra le forze ribelli. «Nemmeno adesso c’è un comando centrale in città, ci sono troppe rivalità e probabilmente nessuno si rende conto di ciò che accadrà nei prossimi giorni».

I generali russi e iraniani hanno imposto a Bashar al Assad per Aleppo un cambio di strategia. Niente battaglia strada per strada, case per casa, dove la predominanza aerea russa è inutile e governativi, Hezbollah libanesi e volontari iraniani dovrebbero combattere su un terreno sconosciuto. Concluso l’accerchiamento la città e blindato l’assedio, l’abitato verrà bombardato sistematicamente per settori.

I ribelli e i civili che saranno sopravvissuti non potranno fuggire, non avranno né cibo né acqua. Alla fine avranno solo due possibilità: morire, di fame o sotto le bombe, oppure arrendersi ed essere uccisi sul posto.

Il destino di Aleppo è segnato.



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