by Giuseppe Acconcia, il manifesto | 5 Febbraio 2016 8:53
Giulio Regeni è morto nel modo più atroce possibile. Una morte lenta mentre le ferite sul suo corpo richiamano i segni della tortura. Il cadavere è stato rinvenuto semi-nudo in un fosso della periferia del Cairo.
L’autopsia avrebbe confermato ferite prodotte da oggetti taglienti, quindi non compatibili con le prime ricostruzioni della polizia. Le autorità egiziane continuano a considerare come valide le piste della rapina finita male e dell’incidente stradale.
Al Cairo i tassi di criminalità sono bassissimi, e sebbene siano aumentati nella fase seguente alle rivolte del 2011, si è tornati alla calma con la retorica della stabilità che ha legittimato il golpe militare del 2013.
In secondo luogo, Giulio non aveva una vettura.
La pista dell’arresto sommario da parte della polizia resta la più plausibile per varie ragioni e qui ricostruiamo punto per punto gli elementi che corroborano questa ipotesi. Giulio ha proposto articoli sui movimenti sindacali indipendenti al manifesto.
L’ultimo articolo che trovate nell’edizione in edicola (e dalle 10 sul sito) racconta con un’efficacia unica quel poco che è rimasto del sindacalismo indipendente in Egitto.
Giulio aveva preso parte alle riunioni dei lavoratori che si sono tenute negli ultimi mesi al Cairo e ne aveva seguito le dinamiche da attento studioso.
Nelle comunicazioni che abbiamo avuto negli ultimi mesi trapelava però un certo timore di apparire in prima persona come firma di un articolo sui movimenti alternativi in un contesto di totale repressione che sta attraversando il paese.
Non ci sono state riferite minacce precise o episodi di intimidazione ma un clima generale che rende meno semplice anche la scrittura di una corrispondenza.
Sono decine i giornalisti e studiosi stranieri a essere stati arrestati ed espulsi dall’Egitto negli ultimi mesi. A validare questi timori c’è la testimonianza di Anne Alexander, stimata docente dell’Università di Cambridge, che ha confermato in un’intervista al Guardian [1]di aver fornito a Giulio contatti e numeri di attivisti egiziani, vicini ai movimenti operai.
La seconda prova che rende plausibile la pista dell’arresto della polizia viene dalla testimonianza di una giornalista egiziana che ha visto la polizia arrestare uno straniero alla fermata della metropolitana Giza.
Secondo le testimonianze di alcuni suoi amici, quella sera Giulio stava per arrivare da casa sua ad una festa di compleanno nei pressi del mercato di Bab el-Louk. La deviazione potrebbe essere avvenuta alla fermata Mohammed Naguib in direzione Giza.
Alle porte dell’Università del Cairo si era tenuto un sit-di protesta nel 2013 e si sarebbero potute svolgere manifestazioni contro il colpo di stato militare anche in occasione del quinto anniversario dalle proteste di piazza. Le contestazioni non si sono poi verificate.
È plausibile che Giulio si fosse fermato in uno di questi luoghi prima di raggiungere gli amici e qui potrebbe essere stato notato e arrestato dalla polizia.
La sicurezza al Cairo era a livelli senza precedenti per le possibili proteste.
Ed è proprio la data del 25 gennaio che più di ogni altra cosa avvalora la tesi dell’arresto sommario finito male.
In quelle ore 5 mila abitazioni sono state perquisite e decine sono stati gli arresti, soprattutto di islamisti.
Non esiste invece un legame certo tra la sua ricerca dottorale e la scomparsa di Giulio. Potrebbe essersi trattato di un arresto e di una sparizione come tante che accadono al Cairo. Sono oltre 600 i desaparecidos nel regime militare di al-Sisi.
Le autorità italiane dovrebbero chiedere che i fatti vengano accertati nella maniera più trasparente possibile. Questo non è affatto evidente per la controparte egiziana.
In occasione dell’abbattimento dell’Airbus A321 nel Sinai, rivendicato da jihadisti di Isis, le autorità egiziane hanno fabbricato prove fasulle pur di non accreditare la pista della bomba a bordo, poi confermata dalla intelligence di mezzo mondo.
Le stesse ricostruzioni fantasiose hanno riguardato decine di altri casi, a partire dall’incredibile sparatoria contro turisti messicani da parte degli stessi militari nel deserto di Bahareia.
Certo resta l’amarezza che il perno della politica estera di Matteo Renzi sia stato e continui a essere l’asse con il generale al-Sisi. La notizia del ritrovamento del cadavere di Giulio è arrivata nel bel mezzo di un meeting economico guidato dal ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, immediatamente rientrata in Italia.
Ma Renzi ha sempre citato al-Sisi come il modello di lotta al terrorismo in Medio oriente e sarà forse anche pronto ad appoggiare un possibile intervento in Libia che con ogni possibilità potrebbe avere l’esercito egiziano a guidarlo.
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