La resa di Equitalia mille miliardi evasi ma 50 recuperabili
Un trilione di evasione ormai in fumo e senza speranza di essere recuperata. Ammonta infatti a 1.058 miliardi, mezzo debito pubblico, il carico di crediti non riscossi arrivato ad Equitalia negli ultimi quindici anni, tra il 2000 e il 2015, rivelato ieri in Commissione Finanze del Senato dall’amministratore delegato da società di riscossione Ernesto Maria Ruffini che ha definito il fenomeno «una patologia estrema ».
Si tratta di una massa ingente di debiti fiscali che i contribuenti hanno per aver evaso Irpef, Iva e imposte varie, contributi Inps, tasse comunali e persino il bollo auto che fa capo alle Regioni. Questa massa di debiti è stata individuata, accertata e regolarmente passata ad Equitalia per la riscossione coattiva: ma a quel punto sono scattate le circostanze più varie che hanno impedito allo Stato di riscuotere. Quali? Si va dal fallimento delle aziende, alla morte dei creditori ma nel «catalogo» ci sono anche tutte quelle operazioni volte ad occultare patrimoni e i beni delle società e dei singoli debitori che figurano all’Anagrafe tributaria come «nullatenenti».
Lo stesso Ruffini ha spiegato che dei 1.058 miliardi di «carichi » affidati ad Equitalia il 20,5 per cento è stato annullato dagli stessi enti creditori in seguito a sentenze o ricorsi che lo hanno consideratto «non dovuto».
Restano 841 miliardi di cui oltre un terzo (circa 308 miliardi) vanno “dimenticati”: non sono recuperabili perché sono dovuti da soggetti falliti, deceduti o «nullatenenti». Per altri 314 miliardi sono state tentate invano azioni esecutive: nulla da fare. Per altri 28 miliardi invece la riscossione è stata sospesa per forme di autotutela messe in moto dai creditori o sentenze nei processi tributari.
C’è poi la “variabile” rateizzazioni, che possono arrivare fino a sei anni: totalizzano attualmente circa 25 miliardi che, per entrare in cassa, devono attendere il termine della dilazione. La partita delle rateizzazioni, che in qualche modo sostiene gli incassi, è piuttosto rilevante: nel solo 2015 sono state presentate oltre un milione di istanze.
C’è inoltre da considerare che mancano all’appello anche 34 miliardi che non sono facilmente «lavorabili», ha detto Ruffini, per alcune norme che negli ultimi anni sono state introdotte per garantire i contribuenti (come l’impossibilità di pignoramento della prima casa). Cosa resta? Se si considera che 81,4 miliardi sono stati riscossi, resta ancora la possibilità di recuperare un «magazzino» di 51 miliardi, appena il 5 per cento del totale.
L’altra novità riguarda le cosiddette “ganasce fiscali”. D’ora in poi chi ha l’automobile bloccata dal fisco perché non ha pagato le tasse, se accetta di estinguere il suo debito a rate, potrà riavere “chiavi” e libretto e continuare a circolare. Fino ad oggi invece, in conseguenza della « delega fiscale » approvata lo scorso anno, quando scattava il fermo amministrativo, anche se si riusciva ad ottenere la rateizzazione, non si poteva tornare ad utilizzare il veicolo. La platea degli interessati alle “ganasce fiscali” non è irrilevante: durante il 2015, a fronte di circa un milione di preavvisi, si è proceduto al blocco delle autovetture in circa 250 mila casi.
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