La pista dei detective italiani “ Ucciso per le sue idee ”

by CARLO BONINI GIULIANO FOSCHINI, la Repubblica | 6 Febbraio 2016 9:13

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DEI colpevoli, quali che siano. Il regime di Al Sisi prova a chiudere l’affaire Regeni lasciando scivolare a sera, all’opinione pubblica italiana, l’indiscrezione che due sospettati vengono interrogati e poi fermati durante la notte per l’omicidio di Giulio. Un’indiscrezione che però nessuno, fino a tarda notte, conferma alle nostre forze di polizia. Il timing, però, è perfetto: le agenzie battono la notizia nello stesso momento in cui il team di sei investigatori di polizia e carabinieri sbarca all’aeroporto del Cairo. Chi ha ucciso Giulio? Pesci piccoli nel giro della piccola criminalità comune. «Nulla che abbia a che fare con la politico o con il terrorismo» dicono, a riguardo del movente, fonti del ministero degli interni egiziano.

La mossa — per altro assai prevedibile — mette ora il governo, la magistratura italiana di fronte a un bivio: accettare l’ipotesi egiziana che allontana ogni movente politico nella morte di Giulio. Oppure mettersi di traverso assumendosi l’onere di una crisi diplomatica. Non sfugge a nessuno, infatti, che da questa mattina, con il rientro della salma di Giulio a Ciampino e una chiara indicazione sul movente, con in più dei primi sospettati, il lavoro del team investigativo arrivato dall’Italia si muoverà in spazi assai angusti. E rischia di finire prima ancora di cominciare. Non fosse altro perché — per dirla con una fonte investigativa — «se è tutto è stato già pregiudicato, a noi altri che resta da fare?». Il punto, infatti, è proprio questo. L’ipotesi di lavoro con cui il team investigativo italiano è arrivato al Cairo è insostenibile per il regime di Al Sisi: che la morte di Giulio sia da cercare nel suo lavoro di ricercatore, nelle sue idee, nella sua rete di rapporti con l’opposizione politica e sindacale al regime. Che, non a caso, archivia la faccenda come un caso di criminalità comune. A dispetto della logica e delle evidenze emerse in queste ore. Se ne contano almeno tre.

LA SCOMPARSA

Giulio scompare tra le 20 e il 21 del 25 gennaio. Esce dalla sua casa nel quartiere di Dokki e va a prendere la metro di Mohooth. Dà un appuntamento via sms a un amico per una fermata a Mohamed Naguib ma qui non arriverà mai. E non darà più segni di sé. Lo cercherà un amico avvocato alle 11 a casa, inutilmente. Come inutili sono le telefonate alla cerchia di amici. Un curioso modo di scomparire se sei vittima di due balordi: il telefono di Giulio da un certo momento poi non solo non è più raggiungibile ma viene sganciato dalla rete per impedire che venga registrato da qualunque cella all’interno della città. Escludendo che la decisione sia stata di Giulio, la circostanza suggerisce che la mano dei suoi rapitori sia quella accorta per chi lavora per gli apparati della sicurezza egiziana. Anche perché il 25 gennaio non è un giorno qualsiasi per il Cairo: è l’anniversario delle proteste di piazza Tahir ed è possibile, dicono fonti dell’intelligence italiana, che Giulio abbia incontrato alcuni ragazzi pronti a manifestare. E che qualcuno, magari pezzi deviati dalla polizia egiziana, abbia deciso di punirli prima che scendessero in piazza.

UN OBIETTIVO MIRATO

Giulio Regeni non è uno studente qualunque. Ma è uno studioso dei movimenti di opposizione in Egitto. Ha contatti con i nemici del regime. Conosce i loro nomi e cognomi, le strategie, la rete. In parte le aveva raccontate in un articolo pubblicato il 14 gennaio sul sito “Nena News” con uno pseudonimo e ripubblicato ieri a sua firma da Il Manifesto nonostante la diffida della famiglia. «In un contesto autoritario e repressivo come quello dell’Egitto dell’ex-generale al-Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento ». Il movente potrebbero anche essere in queste parole.

IL LUOGO DEL RITROVAMENTO

C’è una terza circostanza che fa a pugni con l’ipotesi che Giulio sia stata vittima di due banditi di strada. Per almeno tre buone ragioni: la prima, che motivo avrebbero avuto di torturarlo in quel modo? Bruciature di sigarette, pare un orecchio mozzato, decine di fratture su tutto il corpo, compreso al cranio. La seconda: se è vero, com’è vero che Giulio muore diversi giorni prima del ritrovamento del suo cadavere, probabilmente il giorno stesso della sua scomparsa o comunque nelle ore immediatamente successive, per quale motivo i due criminali di strada che lo avrebbero ucciso hanno custodito il corpo per così tanto tempo prima di liberarsene? La terza: il luogo del ritrovamento del cadavere è una zona molto frequentata e dunque molto rischiosa per qualcuno che se ne va a zonzo con un morto nel bagagliaio da scaricare sul ciglio della strada. A meno che le persone di cui si stia parlando non hanno nulla a che fare con la criminalità ma molto a che fare con gli apparati di sicurezza.

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