La crescita americana non si ferma

by FEDERICO RAMPINI, la Repubblica | 27 Febbraio 2016 9:54

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NEW YORK È stata meno brusca di quanto si credeva, la frenata della crescita americana alla fine del 2015. Ieri è uscito il dato rivisto sul Pil del quarto trimestre. La rilevazione aggiornata e corretta lo porta a +1% contro il dato iniziale che era stato di +0,7%. A giustificare questo modesto aggiustamento al rialzo c’è il fatto che le scorte delle imprese non sono diminuite quanto si credeva. Resta comunque che di frenata si tratta. Paragonando il periodo che va dal primo ottobre al 31 dicembre 2015 con i due precedenti, la decelerazione va da +3,9% (secondo trimestre) a +2% (terzo) a +1% (quarto). La crescita media sull’intero anno si assesta al 2,4%, certo ben superiore a quella europea, ma non esaltante. Inoltre la revisione in meglio non si estende ai consumi delle famiglie che sono stati piuttosto fiacchi (solo +2%) nel periodo dei regali, che in America si estende da Thanksgiving a Natale. Un elemento frenante si conferma il superdollaro. La forza della moneta – o per meglio dire le svalutazioni competitive in molte altre parti del mondo – ha penalizzato l’export made in Usa che infatti è regredito del 2,7%.

Il 2016 si è aperto sotto auspici un po’ migliori. A gennaio i consumi sono aumentati dello 0,5%, esattamente in linea con l’aumento dei redditi delle famiglie anch’essi +0,5%. Si conferma anche una leggera ripresa dell’inflazione. Wall Street ha reagito a questi dati… senza reazione. Per la Borsa il dilemma è sempre lo stesso. Una crescita deludente è di per sé una notizia negativa per i profitti delle imprese quotate. Però è anche una ragione per scommettere che la Federal Reserve ritarderà ulteriori aumenti dei tassi d’interesse, cosa gradita alla Borsa. I dati di ieri non spostano la situazione né in un senso né nell’altro, anche se l’attesa prevalente rimane quella di un rinvio di ogni decisione sui tassi ben oltre il prossimo meeting della Fed a marzo. Lo scenario internazionale rimane incerto, turbolento, gravido di rischi anche se il mese di febbraio è stato meno pesante di gennaio per le Borse. Quelle occidentali (Europa e Usa) sembrano un po’ meno influenzate dai ribassi di Shanghai. Anche se sui media Usa il pessimismo sulla Cina rimane invariato. Si susseguono notizie su interventi della censura governativa di Pechino per bbloccare la divulgazione di notizie negative sull’economia cinese: un atteggiamento che non risolve i problemi ed accentua l’opacità di quel mercato. Continua inoltre l’ecatombe di piccole aziende energetiche americane, costrette alla bancarotta perché non più competitive ai livelli attuali del prezzo del petrolio. E quattro petro-Stati Usa, dove l’economia dipende in modo quasi esclusivo dall’industria energetica, sono già entrati ufficialmente in recessione. Le difficoltà del settore energetico si trasmettono al mercato dei bond emessi da quelle aziende, nonché ai bilanci delle banche che hanno fatto credito al settore.

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