MILANO «È un risultato positivo, sono molto contento di come è andata Balzani e onore a Sala che ha vinto. Adesso tutti uniti e tutti insieme per vincere le elezioni». Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, ha anticipato anche Beppe Sala. È arrivato all’Elfo Puccini prima del vincitore delle primarie. Ad accoglierlo un applauso tiepido, ben diverso da quello di cinque anni fa. Il «miracolo» — copyright dello stesso Pisapia — non si è ripetuto. Nonostante la rimonta, Francesca Balzani, la candidata del sindaco di Milano, non è riuscita a ribaltare il risultato. «Forse è partita un po’ troppo tardi» ha detto il sindaco. Parole che sicuramente non saranno arrivate gradite alle orecchie del suo vicesindaco. Ma un risultato per Pisapia c’è comunque stato: «Le primarie danno un importante segnale di una sinistra forte e un centrosinistra ancora più forte, un grande successo del centrosinistra milanese. Ora non ci può che essere continuità. Non c’è nessun dubbio che sosterrò Sala come tutti gli altri candidati e appuntamento a giugno dove vinceremo ancora». Come dire: nonostante la sconfitta del suo braccio destro, il risultato politico è assicurato: riconferma di una forte presenza della sinistra e nessuna deviazione verso il Partito della Nazione.
È veramente così? Scegliete voi quale sarà il trend topic della politica milanese nelle prossime ore. Ci si aggira tra tre scenari: la sconfitta di Pisapia, l’errore di Majorino, la mancata sintesi di Balzani. Perché andando a ritroso c’è qualcosa che non torna. C’è una data che fa da spartiacque. Ventidue marzo 2015. Incipit tragoedia . In una domenica uggiosa Pisapia convoca in fretta e furia una conferenza stampa. Quel che si attendeva da settimane, arriva: il sindaco non si ricandida. Un solo mandato era e un solo mandato sarà. Manca però tutto il resto, perché in politica la successione è questione vitale. Soprattutto se l’esperienza milanese, il modello arancione che dopo vent’anni ha sconfitto il centrodestra nella sua roccaforte, è diventato un’alternativa praticabile al governo nazionale. In molti si aspettavano se non un’investitura, un’indicazione che rappresentasse la continuità di un centrosinistra largo e unito. Non arriva e non arriverà se non dopo molti mesi. Bisogna aspettare fine novembre perché qualcosa accada. Pisapia parte con un’opera di logoramento ai fianchi dei vari candidati alle primarie allora in campo, tratteggiando una summa teologica del suo pensiero politico. Randellate alla sinistra-sinistra, chiarimenti sul ruolo di Sel, stop all’ipotesi renziana di slittamento delle primarie. Dulcis in fundo, la battuta sul «dobbiamo avere il coraggio di sfidare chi sembra più forte e non lo è e chi vuole capire capisca», che tutti hanno inteso come segnale ulteriore del grande freddo che regnava tra Pisapia e Giuseppe Sala. Tutto ciò per ribadire un unico concetto: difendere con le unghie e con i denti il Modello Milano, la grande alleanza che ha visto insieme il centrosinistra e la società civile e individuare la possibile erede di questa avventura politica: la Balzani, appunto. Operazione che è riuscita solo in parte. Il resto è storia recente. La decisione di non essere «arbitro», di poter dire la sua. E lo fa. L’endorsement per Balzani arriva una settimana fa. «Voterò la mia vicesindaca», dice davanti una coppa di spumante. Poi quella foto storica che rimette insieme sul palco, Stefano Boeri, Valerio Onida e lo stesso Pisapia, avversari nel 2010 e di nuovo insieme accanto a Balzani. Ora, si apre un nuovo capitolo. Il Modello Milano, l’arancione di Pisapia come l’abbiamo conosciuto sembra difficilmente ripetibile e l’anomalia Milano rischia di diventare un ricordo.