Il cuore di Lesbo, candidata al Nobel “Qui salviamo i profughi e l’Europa”

by ALESSANDRA LONGO, la Repubblica | 14 Febbraio 2016 8:47

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LESBO Sulla spiaggia di Skala Sykaminias ci sono montagne di giubbotti arancioni, teli di plastica strappati, guanti di lana ancora fradici: tutto quel che rimane di una tragedia quotidiana. Perché è qui che arrivano i migranti reduci dalla precaria traversata del braccio di mare che separa la Turchia da quest’isola greca. Tra loro anche donne e neonati. La Guardia Costiera li raccoglie al buio, li porta a riva, li salva. L’isola di Lesbo ha 87 mila abitanti e ha già accolto mezzo milione di profughi arrivati dal mare turco. Lo ha fatto con la dolcezza di Emilia, 83 anni, le carezze ai bambini siriani di Mariza, 85 anni, le lacrime di dolore di Stratia, 90 anni. E Laura Boldrini è venuta fin qui per dire grazie a queste tre nonne, «simbolo di un’Europa che accoglie, che non ha dimenticato i suoi valori fondanti ». La presidente della Camera entra in casa di Mariza, nel tinello azzurro con la stufa a legna e il merletto sotto la televisione. Stringe le mani a queste donne forti, figlie di profughi greci scappati dalla Turchia nel 1922: «Non sopportiamo il dolore di chi sbarca, perché noi lo conosciamo, quel dolore», dicono le donne.
Questa di Lesbo è l’ultima tappa di una missione all’insegna dell’emergenza migranti, a sostegno della Grecia, lasciata «troppo sola a gestire le conseguenze dell’esodo», dice Boldrini entrando nella casetta di Mariza, a cui dice: «Grazie per quel che fate continuate così ». A lei e alle altre due signore ha portato in dono tre sciarpe bianche. Poi ringrazia anche Valamios Stratis, il pescatore che ogni notte, da anni, va in cerca di naufraghi da salvare con la sua barca.

L’isola di Lesbo è candidata al premio Nobel per la pace: la foto di Emilia che culla un bimbo siriano e gli dà il biberon, accanto alle amiche, ha fatto il giro del mondo Ed è lei la “persona fisica” scelta per la candidatura. «Lo tengo io in braccio — dice Emilia alla giovane mamma ancora fradicia dopo il salvataggio — ci penso io. Ho 4 figli e otto nipoti. So bene come fare ». Boldrini le stringe la mano, ripresa dalle telecamere della Vita in diretta.
Lesbo è un’isola povera che vive di rimesse e dei suoi 11 milioni di ulivi. Un’isola che ha i cimiteri pieni di morti stranieri: iracheni, siriani, afgani. Un’isola che ha saputo rispondere con gentilezza all’ondata di di quell’umanità in fuga dalla guerra. Ricorda il viceministro all’emigrazione Moutzalas, anche lui radici da profugo: «C’è un poeta greco che dice: qualunque sia l’età, la passione è sempre primavera».
Qui nessuno pensa di respingere chi arriva. Qui le Ong lavorano per ripulire la costa dalla plastica e riciclare i resti dell’esodo, come sta facendo un gruppo di ragazzi inglesi sulla spiaggi. Ci sono americane arrivate con le lavatrici per lavare i panni dei rifugiati e riconsegnarglieli puliti, ci sono greci che portano cibo e acqua o accompagnano gli sbarcati al porto di Mitilene da dove raggiungere il Pireo.
Ma Bruxelles non si accontenta, considera la Grecia inadempiente, essendoci, al momento un solo hotspot funzionante sui 5 previsti. Dalla spiaggia di Skala Sykaminias Boldrini ripete ciò che dice da giorni: «Inadempiente è l’Europa che non si assume tutte le sue responsabilità, i 28 stati membri che non rispettano gli accordi per il ricollocamento». Poi prende uno di quei giubbotti ammassati sulla spiaggia e lo indossa: «Questo salvagente, che porterò a Roma e a Schengen, deve diventare il simbolo dell’Europa, della vita. Se affonda Lesbo, affonda l’Europa e andremo tutti a fondo».
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