I colleghi provano a consolare Cirinnà Gli avversari brindano alla buvette

by Fabrizio Roncone, Corriere della Sera | 17 Febbraio 2016 11:59

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ROMA Qualcuno aiuti la senatrice Monica Cirinnà.

C’è un commesso?
Per favore, un bicchiere d’acqua.
Ma i commessi non sentono e lei esce dall’aula di Palazzo Madama barcollante, incerta sulle gambe, e bianca in viso, con uno sguardo che è un miscuglio di stupore e rabbia, delusione e paura.
I colleghi di partito renziani le vanno incontro desolati e l’abbracciano, e la consolano, e le sussurrano con tenerezza infinita che ancora nulla è perduto, vedrai, c’è ancora spazio per una trattativa, non mollare, non molliamo.
Poi si sente una voce nervosa, tremante: «I grillini si assumono una responsabilità pesantissima…». È il senatore Andrea Marcucci che cammina a capo chino, spettinato, la giacca Principe di Galles stropicciata sotto il peso del suo «supercanguro» stecchito.
Ma quelli, i grillini, sono invece lì tutti soddisfatti e orgogliosi e — davanti ai cronisti che cercano di capire quando e come è stato deciso il colpo di scena, il tradimento, la rinuncia ad appoggiare la maggioranza del Pd nel cammino parlamentare della legge sulle unioni civili — si danno pacche sulle spalle, volano grida di evviva, congratulazioni reciproche, mentre certi vanno diritti alla buvette, perché «a questo punto un prosecchino ci sta proprio bene».
Il grillino Alberto Airola cammina avanti, si ferma di colpo, torna indietro.
E saltella (anche dall’emiciclo, subito dopo il suo intervento, poco fa, è uscito quasi saltellando).
Sgrana gli occhi.
Sorride, ride, diventa improvvisamente cupo.
«Siamo nelle vostre mani, mi ha detto il sottosegretario Ivan Scalfarotto: capito? Ma che frase è? Ma si fa così la politica?» (da Moncalieri, 45 anni: per lungo tempo ha fatto il cameraman, riprendeva i politici per i programmi Rai e Mediaset, e adesso è qui a spiegargli che certe cose non si pensano e, comunque, non si dicono).
Continui.
«La verità? Ci siamo parlati, nel gruppo del M5S, e abbiamo capito che il “supercanguro” ideato dal senatore Marcucci altro non è che un piccolo, meschino, volgare trucchetto incostituzionale…».
Passa Gianmarco Centinaio, il capo dei senatori leghisti e dovreste vedere che aria eccitata, soddisfatta ha messo su. «Noi abbiamo ritirato 4.500 emendamenti… Perché il Pd non ha fatto altrettanto con il suo canguro?».
Gli va dietro una giornalista televisiva. Altre domande, altre risposte tronfie. Ma al senatore Centinaio proprio non viene in mente di chiedere scusa: no, niente. Non un amico, non un compagno di partito che gli abbia spiegato quanto la frase pronunciata a fine mattina — «La parola del Pd vale come un peto» — fosse un’insolenza non tanto rivolta al Pd (passi: qui tutti se ne dicono sempre di tutti i colori) ma alle istituzioni, a questo sacro luogo.
Intanto gira voce che, da qualche parte, ci sia il potentissimo sottosegretario Luca Lotti; c’è un cronista che giura di averlo visto entrare in una stanza, però altri cronisti lo ammoniscono, queste sono visioni, è escluso che uno furbo come Lotti possa aver deciso di venire a mettere la faccia in un pomeriggio così.
Un altro potente invece c’è, ma non parla: Denis Verdini, al comando delle truppe alate, avanza lievemente accigliato con il suo passo felpato, la criniera in perfetto ordine e sarebbe interessante sapere cosa frulli nella sua testa di ex generale berlusconiano, straordinario stratega di mille accordi e testimone oggi di un accordo saltato così, in questo modo.
«Accordo saltato?»: questo è il senatore Carlo Giovanardi. «Volete sapere perché il M5S s’è sfilato? Semplice: ha capito che il Paese la legge sulle unioni civili non la vuole».
È di ottimo umore: l’altro giorno una coppia di gay presenti in tribunetta s’è scambiata qualche bacetto provocatorio e lui, Giovanardi, s’è molto offeso.
«Offeso io? Guardi, non è che con la stipchold…».
No, ecco: poi c’è questa cosa della pronuncia. Stepchild adoption (il meccanismo che permette a uno dei membri di una coppia d’essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del compagno: possibilità che il ddl Cirinnà prevede anche per le coppie omosessuali). Due paroline inglesi. Che terrorizzano molti senatori.
Eva Longo (Ala): «Stapcholdadepttium».
Renato Schifani (Area popolare): «Stippcheldadoptttiom».
Maria Rosaria Rossi (FI): «Stipchildionateption».
Comunque c’è poco da ridere.
L’atmosfera è pesante.
Quelli del Pd convocano riunioni volanti, si provano e riprovano improbabili conteggi, qualcuno avanza l’idea romantica di recuperare almeno una decina di cattodem, pronte mozioni degli affetti in memoria del vecchio Pci da sottoporre a Vannino Chiti e Mario Tronti. Ma alla fine le ipotesi più realistiche restano tre: andare comunque al voto e «far prendere al M5S le sue responsabilità», spacchettare o addirittura ritirare il «cangurone».
Si volta Paolo Romani, il capogruppo di FI, e fa lo spiritoso: «Hanno tempo per pensarci… la notte porta coniglio».
Ecco, ci mancava il coniglio.
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