Dalla sterlina al welfare cosa rischia e guadagna il Regno Unito senza Ue

Dalla sterlina al welfare cosa rischia e guadagna il Regno Unito senza Ue

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IL GOVERNO britannico ha fissato per il 23 giugno la data del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. La consultazione avverrà dopo che il primo ministro David Cameron ha ottenuto una serie di concessioni sullo status della Gran Bretagna all’interno dell’Unione, per esempio la possibilità di mettere dei limiti ai sussidi per gli immigrati comunitari. Dopo l’accordo, Cameron si è potuto così esprimere a favore della permanenza nell’Ue, e con lui la maggior parte dei suoi colleghi di peso, dal ministro delle finanze, George Osborne, a quello dell’interno, Theresa May.
COSA CAMBIA DAL PUNTO DI VISTA ECONOMICO PER LA GRAN BRETAGNA DOPO LA RINEGOZIAZIONE?
Non molto. Il pacchetto di riforme è pieno di vittorie simboliche, per esempio l’attestazione che il Regno Unito non farà parte di un’Unione «sempre più stretta ». Questa era una condizione di fatto già acquisita, vista la poca popolarità di progetti come la moneta unica fra gli elettori e i politici britannici. La Gran Bretagna potrà risparmiare qualcosa sui sussidi: per esempio, dopo la rinegoziazione, l’assegno per i figli dei lavoratori stranieri che rimangono nel Paese d’origine sarà legato al costo della vita di quello stato. Ma si tratta comunque di cifre irrisorie: cancellare del tutto questi assegni avrebbe fatto risparmiare una cifra che è stata stimata in appena 30 milioni di sterline l’anno.
QUALI SAREBBERO LE CONSEGUEN-ZE ECONOMICHE PER LA GRAN BRETAGNA DI UN’USCITA DALL’UNIONE EUROPEA?
Questa è la domanda da un milione di… sterline, a cui è impossibile rispondere. I tanti studi prodotti sull’argomento negli ultimi anni hanno infatti basi empiriche molto fragili, e le risposte dipendono spesso dalle posizioni aprioristiche degli autori. Nel breve periodo, alcuni analisti temono che un voto per l’uscita dall’Ue potrebbe produrre incertezza sui mercati azionari e obbligazionari britannici oltre che sulla sterlina. La valuta britannica si è già deprezzata negli ultimi mesi nei confronti dell’euro e del dollaro, a causa della decisione da parte della Banca d’Inghilterra di ritardare l’aumento dei tassi d’interesse, ma anche dell’incertezza legata al referendum. Una caduta pesante della sterlinapotrebbe esporre le due vulnerabilità della Gran Bretagna: il forte passivo nella bilancia dei pagamenti, uno dei più alti nel dopoguerra, e le valutazioni estremamente elevate del mercato immobiliare di Londra. Mark Carney, governatore della Banca d’Inghilterra, ha detto in un’audizione parlamentare a gennaio, che il Brexit potrebbe far aumentare i premi al rischio sugli asset britannici, un fenomeno che potrebbe produrre eventuali fughe di capitali.
E NEL LUNGO PERIODO?
Molto dipenderà da che accordi la Gran Bretagna prenderà con il resto dell’Unione Europea in caso di Brexit. Londra potrebbe entrare nello Spazio Economico Europeo, come la Norvegia, nel qual caso avrebbe accesso al mercato unico, ma dovrebbe accettare molte delle regole di Bruxelles, oltre a contribuire al bilancio dell’Unione. Un altro scenario è quello di un semplice trattato di libero scambio, che garantirebbe a Londra molta più autonomia dalle regole europee, ma quasi sicuramente un accesso più ristretto al mercato Ue. Da questi dettagli dipenderà la decisione di moltissime aziende che hanno scelto di basarsi in Gran Bretagna contando di avere accesso ai 500 milioni di consumatori che popolano l’Unione. Tra queste, molto importanti sono le banche della City di Londra, che si interrogherebbero anche sulla possibilità, dal punto di vista regolatorio, di operare da fuori l’Ue. Emmanuel Macron, ministro dell’economia francese, ha già detto che la Francia “srotolerebbe il tappeto rosso” per accogliere quei banchieri che pensassero di andar via dalla Gran Bretagna in caso di uscita dall’Unione.
QUALI SAREBBERO INVECE PER IL RESTO DELL’UNIONE LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DI BREXIT?
Anche questo è molto difficile da stabilire. Le conseguenze dirette sarebbero sicuramente meno significative che per il Regno Unito: per esempio, in proporzione sul totale, i Paesi Ue nel complesso esportano verso la Gran Bretagna molto meno di quanto il Regno Unito esporti verso di loro. È chiaro però che un’eventuale Brexit aprirebbe un periodo di incertezza politica anche per gli altri stati dell’Ue, dato che gli investitori potrebbero temere l’inizio di un processo di disgregazione della costruzione europea. Come ha scritto ieri in una nota di ricerca Kallum Pickering, un economista della banca tedesca Berenberg, «i mercati potrebbero chiedersi se anche Francia e Italia potrebbero avere referendum in futuro. Se gli investitori lo facessero, allora gli spread sui titoli di stato dell’eurozona potrebbero allargarsi e la fiducia delle imprese potrebbe diminuire».


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