by Luca Fazio, il manifesto | 24 Febbraio 2016 10:45
La Corte europea dei diritti umani condanna lo stato italiano per il rapimento e la detenzione illegale dell’ex imam Abu Omar “prelevato” nel 2003 da un commando della Cia davanti alla moschea di viale Jenner a Milano. Secondo i giudici l’Italia ha applicato in modo improprio il segreto di stato. Per Claudio Fava, vice presidente della Commissione parlamentare antimafia, Renzi deve riferire in parlamento. Ferdinando Pomarici, il pm di Milano che insieme a Spataro condusse le indagini sul caso, azzardando un parallelo con la vicenda di Giulio Regeni si chiede come fa oggi il governo italiano a chiedere all’Egitto quella “chiarezza che noi invece non abbiamo avuto” al solo scopo di coprire gli agenti americani e la complicità dei nostri servizi
La sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo è pesantissima, circostanziata e senza appello e condanna l’Italia per il rapimento e la detenzione illegale dell’ex imam Abu Omar (fu prelevato da un commando della Cia il 17 febbraio 2003, a Milano, davanti alla moschea di viale Jenner e poi trasferito in Egitto dove venne torturato). Secondo la Corte, l’Italia, applicando in modo improprio il segreto di stato — tra il 2005 e il 2013 lo hanno fatto i governi Prodi, Berlusconi, Monti e Letta — ha violato alcuni principi fondamentali della Convenzione europea per i diritti umani. In particolare, la proibizione di trattamenti disumani e degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a ricorrere alla giustizia e il diritto al rispetto della vita familiare. I giudici di Strasburgo hanno anche stabilito che l’Italia deve risarcire Abu Omar con 70 mila euro e sua moglie con altri 15 mila euro per “danni morali” (risarcimento beffardo, secondo l’avvocato dell’ex imam). La sentenza diventerà definitiva a maggio se lo stato italiano non otterrà un riesame dalla Corte di Strasburgo. La condanna, ovviamente, chiama in causa anche questo governo e il nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Nella condanna, infatti, si fa riferimento anche alla grazia che due presidenti della Repubblica (Napolitano e appunto Mattarella) hanno accordato a tre agenti americani condannati per l’operazione di extraordinary rendition di Abu Omar: secondo i giudici nessun essere umano può essere sottoposto a tortura e maltrattamenti a causa “dell’impunità derivante dall’atteggiamento dell’esecutivo e del presidente della Repubblica”. I tre atti di clemenza sono stati concessi nell’aprile 2013 al colonello Joseph Romano (capo della base di Aviano da dove partì l’aereo con a bordo Abu Omar) e lo scorso 23 dicembre al capo della Cia di stanza a Milano — Robert Seldon Lady — e all’agente Betnie Medero. Quasi inutile aggiungere che i tre non sono mai stati arrestati e continuano a vivere da liberi cittadini negli Stati Uniti d’America. C’è voluta la Corte europea per ricordare che “in materia di tortura e maltrattamenti da agenti dello Stato l’azione penale non può esaurirsi per effetto della prescrizione, e che l’amnistia e la grazia non devono essere tollerati in questi casi”.
Claudio Fava, vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, chiama in causa il presidente del Consiglio Matteo Renzi. “La sentenza sul rapimento di Abu Omar — spiega — conferma quello che denunciamo da anni: l’uso strumentale, illegittimo e improprio del segreto di stato su questa vicenda, una illegittimità sulla quale si sono impegnati tutti i governi in carica negli ultimi dodici anni, nessuno escluso. A questo punto chiediamo che Renzi venga a riferire in parlamento per dire come pensa di rivedere l’uso improprio del segreto di stato. Il segreto va immediatamente rimosso da tutti gli atti che riguardano questa vicenda”.
La Corte di Strasburgo, tra le altre cose, ha anche riconosciuto il puntuale lavoro di inchiesta svolto dalla procura di Milano che per anni è stata ostacolata dalle più alte cariche dello stato. La “soddisfazione personale” però non compensa la “grande amarezza” di Ferdinando Pomarici, il pm di Milano che con Armando Spataro condusse le indagini sul caso. Le sue considerazioni sono pesanti: “Noi, che siamo la culla del diritto, ci troviamo schiaffeggiati brutalmente. E’ dovuta arrivare la Corte di Strasburgo a riprenderci col righello per dirci: bambino queste cose non si fanno. Io e Armando abbiamo sopportato in silenzio trattamenti difficilmente sopportabili, noi, che abbiamo fatto della lotta al terrorismo metà della nostra attività professionale, siamo stati accusati ai politici di aver protetto un terrorista”. Pomarici azzarda un parallelo doloroso: “E’ un discorso ancora più amaro oggi, pretendiamo dal governo egiziano per la morte di Giulio Regeni di avere quella chiarezza che noi invece non abbiamo avuto. Mi aspetterei che il governo, se vuole essere autorevole agli occhi di Al Sisi, faccia luce ed elimini il segreto di stato”. Spataro, oggi procuratore capo a Torino, aggiunge una semplice lezione, e cioè che “le democrazie devono assicurare a tutti gli imputati, anche ai presunti terroristi, la possibilità di piena difesa e dunque il rispetto dei loro diritti”.
Per il presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonnella, questa sentenza dovrebbe spingere l’Italia a riconoscere il delitto di tortura. “La tortura — aggiunge — è un crimine contro l’umanità e lo stato non può rimanere indifferente o, in alcuni casi come quello oggetto della pronuncia di Strasburgo, rendersi complice di governi torturatori”. Come l’Egitto.
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