Annullata la condanna dell’agente per l’uccisione dell’attivista-icona Shaimaa Al-Shabbagh

by V. Ma., Corriere della Sera | 15 Febbraio 2016 9:01

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«Mi sento esattamente come un anno fa, è come se Shaimaa oggi fosse stata assassinata di nuovo», dice al telefono dal Cairo Sayed Abu Elela. È l’avvocato che il 24 gennaio 2015, quando Shaimaa Al-Shabbagh fu colpita da proiettili di gomma a una manifestazione pacifica a piazza Tahrir, si inginocchiò ai suoi piedi, tentò di sorreggerla e poi di portarla in salvo. Invano. L’attivista dell’Alleanza popolare socialista e madre di un bimbo di sei anni di nome Belal morì poco dopo di emorragia interna, lesioni cardiache e polmonari. E ieri per lui è stato come vederla morire di nuovo.
Shaimaa è diventata un’icona del diritto (negato) a manifestare ma, nel suo caso, sembrava che fosse stata fatta giustizia, grazie anche al fatto che la sua morte era stata fotografata e ripresa istante per istante. Dopo l’iniziale diniego di ogni responsabilità da parte del ministero dell’Interno, il presidente Al Sisi l’aveva definita «come una figlia» e il poliziotto delle forze anti sommossa Yassin Hatem Salah Eddin era stato condannato a 15 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. Ieri però la Corte di Cassazione ha accolto l’appello e annullato la sentenza, ordinando un nuovo processo. La manifestazione non era autorizzata — ha argomentato l’avvocato difensore — e in tali «circostanze eccezionali» l’agente, essendo «inesperto» (è un sottotenente di 25 anni), si è «confuso». Il poliziotto è stato difeso in appello da Farid Al-Deeb, l’avvocato dell’ex presidente Mubarak. «”Sono onorato di conoscerla”, gli ha detto il procuratore stringendogli la mano», ride amaramente Sayed. «La mia impressione è che, poiché Shaimaa era la prima manifestante uccisa dopo il 30 giugno 2013 (quando l’esercito rovesciò il presidente Morsi ndr ) e c’era grande attenzione dei media, hanno arrestato il responsabile e gli hanno dato 15 anni. Ma ora sono tornati alle solite abitudini, tanto è passato un anno e la gente dimentica». Sayed e Shaimaa erano compagni di partito, fianco a fianco alle proteste. «Era anche una poetessa e un’artista, aveva un teatrino politico di marionette. Diceva: “Non ho paura di morire, ma ho paura per mio figlio”. Il piccolo Belal è esattamente come lei».
Quel 24 gennaio, Shaimaa era in piazza per una «marcia dei fiori». «Era pomeriggio, le 3.45, in piazza Talaat Harb. Volevamo spezzare il silenzio politico. Cantavamo: “Punizioni e giustizia per i martiri uccisi e traditi”. La polizia era a cinque metri da noi, ha cominciato a lanciare lacrimogeni, abbiamo detto a Shaimaa: “Andiamo”. Ma lei: “No, non scapperò”. Abbiamo cominciato a muoverci, trascinandola con la forza, la polizia ha sparato. L’ho visto l’uomo che l’ha uccisa: era mascherato. Dopo averla stretta a me, l’ho trasportata dall’altro lato della strada, perdeva sangue dalla bocca, ho capito che stava morendo. Abbiamo chiesto alla polizia aiuto, e loro ci hanno arrestati». Shaimaa è stata uccisa mentre marciava con i fiori in mano per deporli in memoria dei martiri della rivoluzione. Come per quei 900 morti, il responsabile potrebbe essere assolto o condannato con la condizionale.
V. Ma.
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